Le uova fanno male? Recentemente stanno girando diversi articoli in America (e forse presto riecheggeranno anche qui) che hanno riportato in auge l’annosa questione del consumo di uova e della loro possibile pericolosità per la salute a causa del loro contenuto di colesterolo.
A riaprire il dibattito è uno studio recentemente pubblicato su JAMA (una nota rivista scientifica) e poi ripreso dai vari articoli. In tale studio sono stati considerati i dati relativi all’alimentazione di un numero elevato di persone, circa 30.000 adulti statunitensi con età media di circa 50 anni. Tali dati sono stati impiegati per sofisticate analisi statistiche che hanno messo in relazione il consumo di uova e di colesterolo con lo sviluppo di patologie cardiovascolari e mortalità totale riscontrato nel campione di popolazione preso come riferimento.
I risultati dello studio? È stato calcolato che per ogni 300 mg in più di colesterolo assunto con la dieta si riscontra rischio maggiore del 3,24% nel rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e del 4,43% per la mortalità totale. Un calcolo simile è stato effettuato per il consumo specifico di uova per le quali, per ogni 3-4 uova in più alla settimana, è stato calcolato un rischio maggiore dell’1,11 e dell’1,93%.
Lo studio conclude quindi suggerendo di rivedere le linee guida per la popolazione americana che, dall’ultima versione del 2015, non presentano più il limite massimo di uova da consumarsi alla settimana.
In realtà, tale suggerimento, a prescindere dai dati citati, non appare realmente giustificabile in funzione del fatto che, come del resto correttamente sottolineano gli stessi autori, i pareri della comunità scientifica circa questa relazione non sono unanimi.
È infatti sempre bene sottolineare come esistano differenti tipologie di studio scientifico e che quello in questione, per sua stessa natura (si selezionano delle persone e le si segue nel tempo per vedere chi sviluppa malattie cardiovascolari o muore e poi si mettono in relazione questi dati con i consumi alimentari) permette esclusivamente di rilevare delle associazioni tra i vari fattori, ma non permette di stabilire se ci sia e come si esplichi un nesso causale. In altri termini, l’aumento del rischio così rilevato, peraltro non esattamente eclatante, potrebbe essere comunque dovuto al caso o non direttamente dipendente dalle uova (che non sono certo l’unico alimento contenete colesterolo), anche a fronte dei complessi calcoli statistici che dovrebbero limitare questi problemi di interpretazione.
Un altro limite intrinseco di questa tipologia di studi è legato al modo in cui vengono recuperati i dati inerenti alla dieta dei soggetti coinvolti: essi nella fattispecie sono stati desunti da un’unica rilevazione, auto-riferita dai soggetti. Questo aspetto è molto importante in quanto la rilevazione dei propri consumi alimentari è frequentemente inaccurata, se poi è anche limitata nel tempo allora diventa un chiaro limite che mette dei dubbi circa la definitività dello studio sul tema in questione.

In Italia la maggior parte di uova appartiene al metodo di allevamento 3, ben il 96% del totale. Un po’ meglio la situazione europea, dove l’allevamento in gabbia copre “solo” l’87% del prodotto globale
Un ultimo aspetto riguarda il fatto che ogni volta che si producono risultati simili essi devono essere ben contestualizzati prima di promuovere o di proporre di limitare il consumo di un alimento con leggerezza (come spesso purtroppo si fa in modo semplicistico negli articoli). Se è vero che può comunque essere utile dare un’indicazione di consumo è anche vero che nello studio il consumo medio di uova è risultato essere pari a sole 3-4 alla settimana. Se questo è il consumo medio negli States possiamo ragionevolmente pensare che in Italia esso potrebbe anche essere inferiore, visto che, per esempio, l’impiego di uova a colazione non è un’abitudine diffusa dalle nostre parti (dove invece prevale il consumo di dolci).
Le uova infatti rappresentano un alimento interessante che, a discapito del contenuto di colesterolo (pari a circa 185 mg per uovo), sono anche un’economica fonte di proteine a elevato valore biologico (particolarmente utile per soggetti vegetariani), versatili in cucina e sazianti. Un uovo preparato alla coque o sodo apporta infatti solo 70 kcal, ma risulta molto saziante proprio in funzione della sua composizione proteico-lipidica.
Insomma, sembrerebbe che “l’uovo di Colombo” all’annosa questione sia un consumo ragionevole (le 3-4 uova precedentemente citate), e uno sguardo rivolto complessivamente ai vari fattori e non al singolo alimento.