Regione: Piemonte
Chef: Davide Cicciotti
Per 8 persone (223 kcal a porzione)
Tempo: preparazione 15 minuti, cottura 60 minuti – Difficoltà: media
Utensili necessari
- Stampo da plum-cake
- Frusta da cucina
- Casseruola alta piccola
Cottura – Fornello a gas – Forno
Caratteristiche
- ASI
- Vegetariana
- Con glutine
- Con uova
- Con latticini
Valori medi per 100 g
- Calorie 154 kcal
- Carboidrati 22,10 g – 58%
- Proteine 5,50 g – 14%
- Grassi 4,80 g – 28%
- Fibre 0 g
- Colesterolo 54,60 mg
Valori medi per porzione
- Calorie 223 kcal
- Carboidrati 32 g
- Proteine 8 g
- Grassi 7 g
- Fibre 0 g
- Colesterolo 79 mg
Ingredienti
- Latte parzialmente scremato 700 g
- Uova di gallina 180 g
- Uova di gallina (albume) 120 g
- Biscotti amaretti secchi 100 g
- Zucchero 140 g
- Cacao amaro in polvere 20 g
- Rhum (cognac) 20 g
Valori medi per 100 g
• Calorie 154 kcal
• Carboidrati 22,10 g – 58%
• Proteine 5,50 g – 14%
• Grassi 4,80 g – 28%
• Fibre 0 g
• Colesterolo 54,60 mg
Valori medi per porzione
• Calorie 223 kcal
• Carboidrati 32 g
• Proteine 8 g
• Grassi 7 g
• Fibre 0 g
• Colesterolo 79 mg.

Il Bonèt è un tipico dolce piemontese (zona delle Langhe)
Preparazione
In una terrina sbattere le uova intere e i tre albumi con i 100 g di zucchero, poi aggiungere il cacao, gli amaretti sbriciolati finemente, il latte e il rhum amalgamando bene il tutto con l’aiuto di una frusta. A parte, in un piccolo pentolino antiaderente, mettere i restanti 40 g di zucchero e cuocere mescolando fino a quando il preparato non assumerà una leggera colorazione nocciola.
A questo punto, versare un cucchiaio di acqua e mescolare a fuoco basso per qualche secondo fino a quando il tutto non avrà una consistenza collosa. Versare il caramello caldo nello stampo da plum-cake, precedentemente intiepidito per favorire lo scorrimento, e farlo aderire uniformemente sul fondo e sulle pareti.
Fare raffreddare fino a quando il tutto non avrà assunto una consistenza vitrea, riempire lo stampo con il composto e mettere a cuocere a bagnomaria in forno già caldo a 160 °C per circa un’ora. A cottura ultimata, lasciare riposare il Bonèt nello stampo in luogo fresco e, successivamente, in frigorifero per almeno un paio d’ore. Capovolgerlo nel piatto da portata e servirlo freddo.
Note
La difficoltà della ricetta sta nel cospargere il caramello sul fondo e sulle pareti dello stampo. Il segreto è quello della rapidità dei passaggi e della giusta temperatura della teglia che non deve essere né troppo calda (il caramello tenderebbe a rimanere liquido senza aderire) né troppo fredda (il caramello si indurirebbe troppo presto).
Ci si può aiutare con una spatola metallica anch’essa riscaldata; ovviamente l’esperienza farà il resto. Per rendere omogenea la cottura è necessario riporre lo stampo nella parte bassa del forno immergendolo a bagnomaria, facendo attenzione che l’acqua non prenda mai il bollore poiché il risultato finale sarebbe un dolce troppo sodo e pieno di bolle anziché morbido e compatto. Come variante si può precedentemente scaldare il latte e aromatizzarlo con una stecca di vaniglia incisa per la sua lunghezza o con della scorza di limone (che si usi l’una o l’altra, si devono rimuovere prima di versare il tutto nello stampo).
Invece che in un unico stampo, se si preferisce, si può distribuire il composto in otto stampini monoporzione.
Un po’ di storia
Il Bonèt, che si pronuncia bunèt, è il più tipico e tradizionale dolce piemontese e più precisamente delle Langhe e ha origini molto antiche. Si pensi che alcuni documenti delle corti minori del Piemonte fanno riferimento al dolce o ai suoi parenti più prossimi come tradizionali già nei banchetti del XIII secolo.
In piemontese il termine Bonèt significa cappello o berretto tondeggiante e più propriamente, nell’antichità, voleva dire berretto da notte. Esistono varie ipotesi sulle origini del nome e tra queste le più accreditate sono due.
La prima lega il nome del Bonèt proprio alla forma dello stampo nel quale viene cotto, originariamente uno stampo di rame chiamato appunto bonèt ëd cusin-a, ovvero cappello da cucina o berretto del cuoco. Questa è l’interpretazione data dal vocabolario piemontese/italiano di Vittorio Sant’Albino del 1859.
La seconda ipotesi, ritenuta la più veritiera soprattutto nelle Langhe, e sicuramente la più curiosa, lascia intendere che il dolce sia stato chiamato in questo modo perché, abitualmente, veniva servito alla fine di ogni pasto, come cappello a tutto ciò che si era mangiato fino ad allora. Infatti, prima di uscire di casa o da un qualsiasi locale, come ultimo indumento si indossava il bonèt, ovvero il cappello.
Bisogna però dire che sostanzialmente esistono due versioni di Bonèt: una versione tradizionale detta alla monferrina, sicuramente più antica e meno conosciuta, senza la presenza del cacao o del cioccolato, ma solo di latte, zucchero, uova e amaretti; un’altra, giunta successivamente, con la comparsa di cucine più complesse e l’ingresso nel territorio piemontese di nuovi ingredienti provenienti dalle colonie sudamericane come per esempio il cacao, il rhum ecc.; con essa il dolce acquisisce le caratteristiche con le quali oggi lo conosciamo e lo presentiamo in questa rielaborazione ASI.
Alla nascita e alla diffusione del Bonèt in Piemonte ha contribuito senz’altro la massiccia presenza di mandorleti e noccioleti grazie ai quali nasce il famoso biscotto amaretto, pasticcino a base di pasta di mandorle dolci e amare inventato probabilmente dagli arabi e diffusosi in tutto il bacino del mediterraneo grazie alla sua caratteristica principale: la scarsa deperibilità.
L’evoluzione ASI della ricetta
Come abbiamo detto, il Bonèt è un dolce che tradizionalmente veniva servito alla fine di ogni lauto pasto piemontese come goloso e sostanzioso dessert, oggi da concedersi in rare occasioni speciali solo per coccolarsi un po’, pena l’aumento sproporzionato del girovita.
Ma perché rinunciare alla golosità di una così armoniosa concentrazione di sapori? Infatti possiamo sorridere perché questa ricetta viene in soccorso di coloro che avevano da tempo abbandonato il loro dolce preferito.
Esistono innumerevoli testi dove viene presentata questa ricetta; alcuni fanno un lavoro discreto e il valore energetico non supera le 350 kcal a porzione, altri, incredibile ma vero, propongono versioni che raggiungono le 850 kcal a porzione (oltre 450 kcal/100 g!). Per ottenere il risultato dettato dai vincoli della cucina ASI per i dolci al cucchiaio (150 kcal/100 g) gli interventi sono stati fatti su quasi tutti gli ingredienti fatta eccezione per gli amaretti, la cui quantità è molto elevata in questa ricetta, ma, fortunatamente, può essere diminuita a seconda dei gusti, riducendo ulteriormente le calorie totali.
Nella ricetta originale viene sempre usato il latte intero, sostituito qui con quello parzialmente scremato, mentre la quantità rimane invariata. Il numero delle uova, di solito dieci intere, è ridotto a sei, a tre di queste vengono tolti i tuorli; in alcuni testi è abbastanza facile trovare la presenza di soli tuorli (uno, uno e mezzo a persona). In questo modo non si riducono solo le calorie, ma anche la quantità di colesterolo che in questa ricetta è presente per il 26% della quantità massima giornaliera raccomandata. Inoltre si eleva notevolmente la componente proteica donando al dolce un ottimo indice di sazietà.
Lo zucchero è davvero ridotto al minimo, meno di 15 g a persona, ma ciò non penalizza affatto l’appetibilità del dessert, anzi, ne esalta l’armonia dei sapori permettendo di distinguere perfettamente l’aroma del cacao, ottimo se di qualità come il Van Houten, e il sapore leggermente amaro caratteristico dei biscotti piemontesi.
Infine vi è la presenza molto importante del liquore nella quantità di 20 g, sufficiente a smorzare il gusto, altrimenti troppo invadente, dell’uovo. Come tradizione vuole, abbiamo usato il rhum, ma, se si preferisce, è possibile sostituirlo con il cognac.