Oggi la dieta a zona continua a essere prospettata come valido modello alimentare solo in certi ambienti e con numeri molto più limitati. Probabilmente una piccola parte del merito va a sito come il nostro e ad articoli come questo.
Il percorso dello zonista – In effetti da ex-zonista della prima ora (quando in Italia non si parlava ancora di zona) anch’io ho percorso il cammino che descrivo. Chi mi attacca è ancora nella fase 1, chi mi plaude è ormai nella fase 2 o nella fase 3.
Fase 1 – Esaltazione e magrezza – In genere dura da un paio di settimane a un paio di mesi. Si calcola tutto e si ottengono risultati: finalmente si dimagrisce e non si sente più di tanto lo stimolo della fame. Come detto nell’articolo generale sulla zona, è un modello alimentare che consente un rapido dimagrimento, ma non è gestibile per sempre.
Fase 2 – Assestamento – In genere dura da due a quattro mesi; a causa delle restrizioni caloriche il metabolismo è diminuito e i risultati sono molto più modesti. Il dimagrimento si ferma o addirittura si ha un’inversione di tendenza; si calcola il tutto ad occhio perché i calcoli ci hanno nauseato; quando si esce con gli amici si capisce benissimo che non si riesce a stare in zona al ristorante; si incominciano a saltare alcuni spuntini; i soliti cibi incominciano a stancare. Nonostante tutto, si parla ancora di zona.
Fase 3 – Rifiuto o Falsa zona – Dopo circa sei-otto mesi ecco che si abbandona praticamente la zona. Alcuni ne riconoscono finalmente i limiti, altri si illudono di essere sempre in zona (falsa zona) mangiando solo un po’ più di proteine. Senza saperlo, stanno seguendo la ripartizione consigliata dalla dieta italiana.
L’esperimento
L’esperimento di questo articolo vuole mostrare che uno dei principi su cui si basa la dieta a zona è errato; si vuole dimostrare che, contrariamente a quanto affermato dalla zona, a parità di calorie, il picco glicemico postprandiale (dal quale dipende la risposta insulinica) non dipende (P, C, G sono le quantità di proteine, carboidrati e grassi)
(1) dal rapporto k=P/C con un picco ottimale quando k=0,75,
ma
(2) dall’indice K=C+0,5P+0,1G
Dovrebbe essere a tutti evidente la differenza profonda fra (1) e (2). Anzi, è un test di intelligenza perché le riposte di alcuni zonisti alla prima stesura di questo articolo facevano cadere le braccia: “sì, ma comunque la zona abbassa il picco glicemico rispetto a un normale pasto mediterraneo”. Per loro non si può far altro che inventare un’analogia economica, priva di numeri (evidentemente con la matematica non ci azzeccano). Supponiamo che un mio amico non capisca nulla di economia (leggasi alimentazione) e stia perdendo soldi (stia ingrassando), investendo nel mercato azionario in un momento poco felice (troppi carboidrati, dieta mediterranea per esempio). Per distoglierlo dalla sua insana strategia, ci si presenta come superesperti di economia e gli si spiega che, secondo le teorie del dott. prof. Searsdollarus, per arricchirsi (dimagrire) è necessario investire un tot del proprio capitale in azioni e il rimanente in immobili (leggasi proteine e il famoso rapporto). Dopo due anni il mio amico ci ringrazia perché i suoi averi sono aumentati grazie all’aumentato valore delle case. È evidente che la favola di Searsdollarus non ha spessore scientifico, ma è servita a salvarlo dalla bancarotta. Va da sé che un vero esperto di finanza avrebbe fatto meglio, considerando anche il reddito fisso, i diamanti, l’oro e quant’altro.
Alcune premesse
La dieta a zona è un esempio di come sia possibile far credere alla gente il verosimile piuttosto che il vero. La genialità di Sears consiste nell’aver trovato un metodo che costringe la gente a mangiare poco (chi riesce a seguire la zona…) secondo i migliori dettami sul come creare una moda alimentare; infatti tarare i pasti 40-30-30 non è affatto facile, molti alimenti vengono automaticamente esclusi (per esempio i dolci), le calorie totali sono molto poche, la dieta è ipocalorica e le persone dimagriscono. Salvo poi reingrassare quando poi non riescono più a seguire il metodo perché hanno troppa fame o hanno problemi fisici.
Sears è stato poi doppiamente geniale perché ha costruito, da ottimo biochimico, una teoria plausibile, ma non vera, tant’è che la comunità scientifica internazionale non lo ha mai preso sul serio, anzi. Nel commento sulla zona ho sempre cercato di mantenermi sul divulgativo e la maggioranza di chi ha letto l’articolo ha convenuto che le critiche sono sensate. Gli zonisti convinti si arrampicano sugli specchi senza trovare un punto critico, ma alla fine restano della loro idea, quasi la zona fosse una religione. Ho deciso pertanto di scrivere un articolo più complesso che mostra chiaramente che
Sears si è inventato gran parte di ciò che ha detto.
Un po’ come D’Adamo con la dieta secondo il gruppo sanguigno (non esistono prove di ciò che afferma sia vero!). Prima di mostrare la prova decisiva riporto uno dei tanti articoli che smontano la zona. Riporto la traduzione (i commenti in rosso sono del traduttore per cercare di rendere più comprensibile l’argomento) di un articolo comparso su Sports Med. 1999 Apr;27(4):213-28.
La dieta a zona e la prestazione atletica – Cheuvront SN.
Department of Nutrition, Food, and Exercise Sciences, Florida State University, Tallahassee, USA.
La dieta a zona è il più recente modello alimentare promosso con lo scopo di migliorare la prestazione atletica in contrapposizione con le tradizionali diete sportive ricche in carboidrati. La dieta 40/30/30 è centrata soprattutto sul fabbisogno proteico (da 1,8 a 2,2 g/kg di massa magra) e promette una modifica del rapporto fra insulina e glucagone attraverso un’alterazione dei macronutrienti. Le modifiche del quadro ormonale si pensa possano produrre una maggior produzione di eicosanoidi vasoattivi, permettendo una migliore ossigenazione muscolare. Questa condizione favorevole, conosciuta come la Zona, è aneddoticamente (cioè alcuni dicono che funziona…) riportata come favorevole per atleti di resistenza. Applicando i fabbisogni proteici e la ripartizione dei macronutrienti della zona, è chiaro che si ha una dieta con pochi carboidrati e con minore apporto calorico rispetto allo standard.

La dieta a zona è uno degli ormai tantissimi modelli alimentari che promettono un dimagrimento definitivo
La gran parte della letteratura si oppone al fatto che questa dieta possa migliorare la prestazione, una piccola minoranza l’approva. Il concetto che una dieta 40/30/30 possa alterare l’ormone pancreatico (insulina) in favore del glucagone è infondato. La zona è una dieta mista che non modifica il rilascio dell’ormone pancreatico come lo fanno i singoli alimenti. Sebbene la risposta insulinica postprandiale (dopo il pasto) sia ridotta quando si confronti una dieta con il 40% di carboidrati con una con il 60% di carboidrati, c’è ancora uno stimolo sufficiente per bilanciare l’effetto lipolitico del glucagone (e quindi non c’è nessun effetto dimagrante che si ottiene solo perché le calorie totali sono poche!). Molti dei benefici promessi dalla zona sono basati sull’informazione selettiva riguardante gli influssi sulla biologia degli eicosanoidi. L’informazione che contraddice (la zona) è stata sapientemente taciuta. Il principio di vasodilatazione delle arteriole dei muscoli ottenuto con l’alterazione della produzione di eicosanoidi è corretto in teoria. Tuttavia, la poca evidenza sperimentale su organismi umani non supporta la teoria di un contributo degli eicosanoidi nell’attivazione della vasodilatazione muscolare. Infatti, la produzione di eicosanoidi riferita dalla zona come responsabile dell’ossigenazione muscolare, non è rilevata nei muscoli scheletrici (cioè non è rilevata da prove sul campo!). Pertanto basandoci sull’evidenza scientifica, la dieta a zona dovrebbe essere considerata nei confronti della prestazione più ergolitica (distruttrice di forza in quanto ipocalorica) che ergogenica (generatrice di forza).
La prova decisiva
In altri termini Sears si sarebbe inventato gran parte di ciò che afferma. Gli addetti ai lavori lo sanno già, visto che già Raven (Nutrition Action Newsletter Jul/Aug 1996) sosteneva che non c’è spiegazione scientifica al fatto che mangiando in zona l’insulina dovrebbe abbassarsi. Sono molti gli esempi di come addirittura certe combinazioni di aminoacidi (cibi proteici) innalzino la risposta insulinica se assunti con carboidrati, rispetto ai carboidrati da soli. Entrare nei dettagli di questi studi non è facile perché si genererebbero discussioni infinite.
SI uò facilmente trovare un modo semplice di riassumere queste ricerche, con una prova che chiunque (anche gli zonisti più convinti) può fare. È necessario solo un misuratore di glicemia, come quelli usati dai diabetici, disponibile anche in molte farmacie.
Come si sa, dopo l’assunzione di cibo la glicemia aumenta, raggiungendo un massimo stabile (picco) nei 30′-60′ dall’assunzione (vedi per esempio Interpretazione dei dati di laboratorio, Bonardi e al.). Tant’è che la curva glicemica è uno degli esami più importanti per la rilevazione di anomalie nella gestione degli zuccheri. In genere si somministrano 75 g di glucosio (300 kcal), ridotti a 50 g nei bambini e nei soggetti ipoponderali. In genere si considera normale una glicemia di picco inferiore a 180 mg/dl. Ovvio che assumendo più calorie la glicemia di picco aumenta rispetto al valore di normalità della curva glicemica. Secondo i dettami della scienza dell’alimentazione classica (V. Miselli – Il calcolo dei carboidrati nella terapia del diabete di tipo 1)
l’impatto dei macronutrienti sulla glicemia è del 90-100% per i carboidrati, del 50% per le proteine e del 10% per i grassi. VERO!
La dieta a zona si basa invece sulla considerazione che
un rapporto di proteine/carboidrati di 0,75 minimizza il picco insulinico. FALSO!
Ecco l’esperimento su un soggetto di 57 kg sano (non diabetico). Come si vede, il picco di glicemia dopo due ore scema nei tre casi, a riprova che l’insulina è intervenuta correttamente e ha fatto il suo lavoro. Nel primo caso per riportare la glicemia a livelli normali è stato necessario mobilitare una quantità di insulina decisamente superiore, contrariamente alla tesi di Sears secondo la quale un pasto in zona non dovrebbe scatenare nessun picco insulinico.
Fase uno – Misurazione della glicemia a riposo: 84 mg/dl.
Assunzione di 200 g di salmone Rio Mare e 200 g di Confettura di lampone Menz Gasser (questo tipo di confettura – ricordiamo che il termine marrmellata andrebbe utilizzato solo per quella di arance – è ipocalorico, con circa la metà dei carboidrati di una normale confettura, per cui si ha una ripartizione dei macronutrienti: 38,5-29,9-31,6; totale calorie 633); misurazione della glicemia dopo 35′: 197 mg/dl; misurazione della glicemia dopo due ore: 88 mg/dl.
Fase due – Misurazione della glicemia a riposo: 83 mg/dl.
Assunzione di soli 200 g di Confettura Menz Gasser (ripartizione dei macronutrienti: 94,1% carboidrati; totale calorie: 260); misurazione della glicemia dopo 35′: 164 mg/dl; misurazione della glicemia dopo due ore: 85 mg/dl.
Si noti come il primo pasto innalzi la glicemia molto di più del secondo, anche se ha un rapporto proteine/carboidrati decisamente più favorevole (secondo la zona); la differenza è solo nelle 362 kcal di salmone (solo proteine e grassi), a riprova che pure proteine e grassi contribuiscono all’innalzamento della glicemia. Non conta il rapporto, conta la quantità totale “pesata” (nel senso che le proteine contano per metà, i grassi per circa un decimo) dei macronutrienti. La fase due dimostra che è meglio mangiare 400 kcal con una ripartizione pessima che 600 kcal di un pasto perfettamente in zona. È proprio il fatto che un pasto “proibito” sia meglio di uno in zona che uccide già la zona! Ma andiamo avanti considerando una situazione isocalorica rispetto alla fase 1.
Fase tre – Misurazione della glicemia a riposo: 80 mg/dl.
Assunzione di 200 g di Confettura Menz Gasser + 42 g di olio d’oliva extravergine (ripartizione dei macronutrienti: 39,8-1-59,2; totale calorie: 638); misurazione della glicemia dopo 35′: 174 mg/dl; misurazione della glicemia dopo due ore: 84 mg/dl.
Cosa è successo? Che con un pasto con le stesse calorie della fase 1, ma con pochissime proteine la glicemia risulta decisamente più bassa. Se fosse vera la (1) questo non dovrebbe accadere (ricordiamo il rapporto è OTTIMALE!!!), quindi la (1) è errata.
NOTA – Alcuni hanno criticato questa pagina sostenendo che si sono usati carboidrati ad alto indice glicemico; questa critica è risibile. Infatti la fase 3 dimostra che, nonostante i carboidrati ad alto indice glicemico, la glicemia risulta decisamente più bassa. Inoltre la favola dell’indice glicemico deve essere ormai nota a tutti ed è inutile difendersi dietro all’uso di carboidrati a basso IG quando si sa che la variabilità dell’IG è tale che è “praticamente” impossibile fissare l’IG di un cibo comune senza un test pratico, cioè è ottimistico definirlo a priori a basso indice glicemico (inoltre comunque si deve sempre considerare non l’indice, ma il carico glicemico!).
A riprova che non sono le proteine quelle che permettono la riduzione del picco insulinico, quanto la sola diminuzione dei carboidrati, diminuzione che si può ottenere sostituendoli con proteine o, meglio ancora, con grassi. La favola del rapporto OTTIMALE 0,75 è quindi sfatata.
Il facile esperimento, replicato su altri soggetti, ha dato risultati analoghi. Quindi, agli zonisti:
prima di credere nella dieta a zona, fate il test!
LA MAIL
Lo zonista pentito
Continuo a ricevere mail (e a rispondere privatamente) di zonisti che contestano l’esperimento sulla zona. Sono francamente stufo di perdere tempo con chi parla, parla, ma si rifiuta di eseguire un semplice esperimento, magari variandolo a suo piacimento per scoprire nuovi dati. Infatti ricevo anche mail di (ex)-zonisti che hanno provato diverse varianti dell’esperimento e hanno abbandonato Sears. Lo scopo dell’esperimento era proprio quello di stimolare lo spirito critico per indagine proprie. Purtroppo la metà circa degli zonisti è così fideisticamente convinta da contestare, senza prima provare in prima persona, le eventuali varianti all’esperimento che loro stessi propongono. Illuminante invece la mail che segue
Circa due anni fa le scrissi una mail piena di insulti perché mi infastidiva la sua valutazione della zona. Ora le devo chiedere scusa. Da allora applico la zona in modo più personale e discontinuo, ma la notizia del suo esperimento, passatami da un amico, mi ha incuriosito a tal punto che, dopo averla ripresa per 10 gg., ho provato su di me cosa accade alla mia glicemia con pasti rigorosamente in zona e searsiani. Mi sono misurato la glicemia in tutte le salse possibili tant’è che ho i polpastrelli a pezzi. Ebbene l’unica cosa che mi sento di affermare è che meno si mangia meno la glicemia sale, ma questo lo dovrebbero sapere tutti. La palla del rapporto proteine/carboidrati è evidente. Con un pasto in zona ho avuto un valore di glicemia del 6% inferiore rispetto a un pasto “mediterraneo” (il giorno dopo alla stessa ora) con le stesse calorie, ma con ripartizione 60-10-30. Praticamente quando la mia glicemia era 182 con il pasto in zona, con il pasto mediterraneo era 193, entrambe alte, altro che calma insulinica! Ho provato in tutte le salse. L’unico modo per far crollare la glicemia è stato quello di usare una ripartizione (disgustosa): 10-40-50.
Grazie per avermi aperto gli occhi.