Zona italiana (anche zona all’italiana) è una denominazione pittoresca che non indica un modulo di gioco del calcio, ma è il nome del regime dietetico (o, meglio, di una confusione dietetica) creato partendo dai principi della zona di Sears.
La dieta a zona italiana nacque qualche anno fa grazie agli sforzi di Gigliola Braga (e di Enrico Arcelli in campo sportivo); dopo qualche successo, se ne sente parlare sempre meno: il tentativo non è granché riuscito e attualmente sono in pochi a preferire la zona italiana alla classica zona.
La zona italiana cerca (meritoriamente, ma senza riuscirvi, visto che matematicamente è impossibile a causa dei vincoli del sistema) di porre delle pezze ai problemi della zona di Sears. La nostra analisi prende in considerazione quattro punti: l’ipocaloricità, i conti del menù, le energie dello sportivo e il problema dei grassi.
Zona: dieta ipocalorica
La zona è una dieta decisamente ipocalorica: si parte dal fabbisogno proteico, si calcolano i carboidrati e si aggiungono i grassi. Prendiamo un sedentario di 70 kg. Secondo Sears (ma anche secondo tutta la ricerca attuale) ha un fabbisogno proteico di 1,1 g per ogni chilogrammo di massa magra. Supponiamo che la massa grassa sia del 15%, si trova che necessita di 65 g di proteine, pari a 260 kcal. I carboidrati (nel rapporto calorico 40:30) saranno circa 350 kcal e i grassi (pari alle proteine come calorie) 260 kcal. Totale: 860 kcal.
Ovviamente nessun sedentario, né tanto meno nessun atleta riesce a vivere con un fabbisogno simile. La zona va bene per dimagrire, ma non a regime. La dieta a zona italiana sorvola nettamente sul fabbisogno calorico giornaliero; dà un menù senza quantità! Chi sa contare le calorie capisce benissimo che i limiti di Sears sono stratosfericamente superati.
I conti del menù
L’altro motivo per cui non si danno le quantità è che il menù deve fornire solo generiche indicazioni su un’alimentazione in cui le proteine contano di più. Se si vanno ad analizzare le singole proposte, si scopre che non si è mai in zona! Vediamo un esempio (ma non è il peggiore!); le quantità le abbiamo aggiunte ragionevolmente noi.
- petto di pollo (porzione come in un palmo di una mano) – 100 g
- insalata mista (anche una ciotola abbondante) – 150 g con olio d’oliva (10 g) e aceto
- un panino piccolo (50 g), meglio se integrale
- frutta di stagione (qui stiamo bassi, una mela -> 150 g)
Ripartizione dei macronutrienti di tale pasto:
Carboidrati 55,7% (46,5 g, 266 kcal), proteine 22,7% (27 g, 108 kcal), grassi 21,6% (11,5 g, 103,5 kcal).
Dov’è la zona? Certo si possono far tornare i conti mangiando mezza mela o prendendo una bistecca di pollo più grande di quella indicata, ma l’altra mezza mela si butta? E se il petto di pollo è piccolo? Insomma è inutile girarci intorno: la zona (italiana o no) è un regime dietetico per “maniaci” dell’alimentazione.
Le energie dello sportivo
Arcelli si prende la responsabilità di far tornare i conti per chi si allena e consuma molti carboidrati (in parte demonizzati dalla zona). Vediamo i passi:
- Innanzitutto il dato di Sears per il fabbisogno proteico passa inspiegabilmente da 2,2 a 2,5.
- Anche con questo ritocco si accorge che i dati non quadrano e allora ci dice: “arrivando a 3 g (ma perché? se Sears è fermo a 2,2 g/kg di massa magra) si ottengono 180 g di proteine pari a 720 kcal”. In totale il nostro maratoneta (65 kg, 10% di massa grassa; se fosse più grasso i dati sarebbero addirittura inferiori!) si sciroppa 20 km di allenamento e deve sopravvivere con il dato “allargato” di sole 2.400 kcal al giorno.
- Arcelli è intelligente e si accorge che la cosa non regge e allora ecco che “la Zona è un po’ elastica e consente che si arrivi talvolta a un’introduzione di carboidrati pari al 50% delle calorie” (ma allora non è meglio chiamarla dieta italiana?). Il talvolta è stupendo visto che Sears non lo dice mai. Forse Arcelli si riferisce al fatto che per Sears il rapporto ottimale proteine/carboidrati deve essere 0,75, ma si è in zona finché resta superiore a 0,6. Diciamolo, però, che il rapporto non è ottimale. Anche con questo dato però sia arriva a 2.880 kcal sempre insufficienti (secondo i dati dello stesso Arcelli si deve arrivare a 3.100).
- Ecco introdotta allora la “finestra”: dopo l’allenamento assumiamo i carboidrati che ci servono perché non fanno male (questo Sears non lo ha mai detto). Ovvio il tentativo di spingere gli integratori glicidici perché appena terminato l’allenamento nessuno si fa una pasta asciutta né può farsi un chilo di frutta.
Il problema dei grassi
Uno dei problemi più gravi della zona: non si può mangiare sempre frutta secca! E allora cosa c’è di meglio che santificare l’olio d’oliva così mediterraneo. In realtà le cose non stanno così e un nutrizionista dovrebbe sapere che non è l’alimento, ma la quantità dello stesso che crea problemi. Per cui se pensate che l’olio d’oliva sia il massimo, leggete l’articolo sui limiti di tale alimento e non santificatelo per orgoglio nazionale o per interesse commerciale. Non si capisce perché fra i grassi non si citino gli oli di semi di mais o di girasole, visto che per la zona gli omega sono così importanti!

La zona italiana “santifica” l’olio di oliva
Zona italiana: il contributo di Gigliola Braga
Terminata la critica alla teoria della zona italiana, qui di seguito pubblichiamo un interessante contributo che ci è giunto da una nostra lettrice. I commenti riportati in rosso sono di Roberto Albanesi, il direttore del nostro sito.
Ho comprato La zona italiana di Gigliola Braga (ed. Sperling & Kupfer) e dopo una lettura attenta sono rimasta molto delusa dal gran numero di contraddizioni che il testo contiene. È incredibile come la stessa autrice non se ne sia accorta.
Pag. 1: Ener-Zona – La prima contraddizione è nella sponsorizzazione del libro. Oltre al dubbio gusto di sponsorizzare commercialmente un testo che vuole divulgare affermazioni scientifiche, se la Zona è così facile da seguire con gli alimenti tradizionali che bisogno c’è di mettere sul mercato prodotti ad hoc? Viene il sospetto che chi tenta di seguirla affoga fra i calcoli e alla fine decide di acquistare prodotti già pronti.
(A me ha divertito molto l’affermazione secondo la quale la zona è molto simile alla raffinata cucina italiana: basta entrare in un qualunque ristorante “raffinato” e si potrà notare nel menù proposto pasta in abbondanza, piatti in cui l’uso del burro non è lesinato e poi, immancabilmente, dolci golosissimi, proprio ciò che la zona vuole limitare o abolire!).
Pag. 8: Dieta mediterranea – “La Zona non esclude la dieta mediterranea“. Poi qualche riga dopo: “La grande differenza che esiste è costituita dall’uso di alcuni carboidrati, che viene incentivato dalla dieta mediterranea, mentre nella Zona si fanno distinzioni di costituzione e provenienza“. Ovviamente si allude a pasta, riso, pane, pizza ecc. Un’inezia. Sarebbe come dire che religione cristiana e religione ebraica sono compatibili, basta non considerare il Nuovo Testamento! È chiaro il meccanismo psicologico di attirare i fautori della dieta mediterranea.
Pag. 11: Scientificità della zona – “La Zona propone quindi un programma alimentare molto simile alla dieta mediterranea, di cui conserva, non per simpatia, ma per scelta scientificamente provata, quasi tutti i principi“. Che io sappia Sears (ma perché continuarlo a chiamarlo per tutto il libro dottor Sears? Mi ricorda la sudditanza che nei vecchi paesi di campagna si aveva nei confronti del medico curante) non ha pubblicato nulla su prestigiose ricerche scientifiche e molte sue affermazioni sono solo rielaborazioni (tutte da provare) di concetti scoperti da altri. Se tutto quello che afferma Sears fosse vero, avrebbe già vinto il Nobel. Un conto è un’ipotesi scientifica e un conto è una verità scientifica.
Pag. 13: Indicazioni della zona – Passi tutto il resto, ma depressi e alcolizzati… Poi a pagina 24 si insiste: “si registrano miglioramenti nei seguenti parametri ematici e patologie“. E si elencano, fra l’altro, cancro, sclerosi multipla, AIDS, psoriasi e (mitico) impotenza. Ma allora il Viagra che ci sta a fare?
Pag. 27: Avena – Si incomincia a incensare l’avena come alimento contenente GLA, quando, come dice anche lei nell’articolo sull’integrazione di acidi grassi essenziali, nell’avena di GLA ce n’è pochissimo o per niente. Del resto ho cercato integratori a base di GLA e tutti lo derivano dalla borragine. Se ci fosse nell’avena, non sarebbe più semplice usare questa fonte? Del resto se togliamo l’avena, crolla uno dei mattoni della zona.
Pag 37: Olio di oliva – Avevo già letto il suo articolo sui limiti dell’olio d’oliva e la tabella a pagina 37 del testo della Braga non fa che confermarlo. Perché santificare l’olio di oliva e distruggere altri oli e il burro quando si tratta solo di quantità? Dal testo sembra che l’olio d’oliva sia il migliore in assoluto, in realtà se i grassi saturi sono sempre negativi è il meno peggio, perché 30 g di olio contengono gli stessi grassi saturi di 10 g di burro.
Pag. 50-59: Acidi grassi essenziali – Chiunque legga queste pagine con spirito critico comprende perché la zona non è praticamente fattibile. Nell’analisi della gestione degli acidi grassi essenziali, Sears si infila in una serie di conti e di rapporti che sono praticamente ingestibili. Si parla di grammi e un singolo grammo può far variare il rapporto ottimale. Inoltre molte sostanze influiscono sulla conversione dei vari acidi grassi essenziali.
(Anche altri, come Udo Erasmus, propongono teorie alimentari su rapporti fra acidi grassi essenziali -per esempio 1:4 fra acido alfalinolenico e acido linoleico-, ma non hanno praticamente seguito perché maniacali e impossibili da realizzare praticamente. Quello che Sears poi non dice è che i dati che fornisce non sono certi. Le ricerche sugli acidi grassi essenziali sono lungi dall’essere concluse. Molte ricerche sono sui ratti e non sull’uomo. Più che di ricerche leggere parlerei di ricerche leggerissime. Se esiste la correlazione fra Omega 3 e Omega 6 per alcuni aspetti (livelli di calcio oppure livello di colesterolo) non è detto che sia generalizzata (benessere dell’individuo). Insomma potrebbe essere che un certo rapporto è ottimale per il fegato, ma non per il cuore. L’errore consiste nel dare per scontato che il modello abbia soluzione nei confronti del rapporto EFA. In particolare come ogni sostanza (anche prodotta dal corpo umano) ha indicazioni e controindicazioni, un certo rapporto potrebbe avere indicazioni (esempio: abbassa il colesterolo), ma anche controindicazioni (esempio: abbassa le difese immunitarie). Non è ancora chiaro quale sia il rapporto corretto. Potrei per 20 anni usare un rapporto sbagliato e accorgermene quando nel 2022 il dott. X scoprirà che il rapporto è diverso! Ma c’è di più. Le diverse famiglie di acidi grassi competono per l’utilizzazione degli enzimi; in particolare la delta 6 desaturasi ha un’affinità decrescente dalla serie Omega 3 alla serie Omega 9; ciò condiziona i rapporti ottimali di assunzione specie per gli acidi grassi essenziali principali (linoleico e alfa-linolenico). Purtroppo però l’attività della delta 6 desaturasi è influenzata negativamente da numerosi fattori quali carenze vitaminiche e minerali, squilibri ormonali, malattie croniche, digiuno, assunzione di alcol in dosi elevate. In altre parole: il rapporto ottimale dipende da centinaia di altre variabili ed è sicuramente INDIVIDUALE. Ecco perché la posizione di Sears e di altri è semplicistica).
Appendice A e B: I miniblocchi e i menù della zona – In tutto il libro (a iniziare da pag. 5 per continuare con pag. 71 ecc.) si sostiene (giustamente) che i dati contenuti nelle varie tabelle nutrizionali (calorie, indice glicemico ecc.) sono necessariamente approssimativi. Poi come si fa a impostare un regime alimentare che tiene conto dei grammi e delle percentuali? Come è chiaro a ogni matematico, se c’è un errore nei dati iniziali, il risultato finale del modello sarà catastrofico. Ma non sa Sears che la ricotta acquistata al supermercato ha proprietà completamente differenti (da 120 a 180 kcal/100 g). Idem dicasi del prosciutto che, seppur magro, può andare da 140 a 210 kcal/100 g. Che senso ha infelicitarsi la vita con conti che, dovendo essere precisi, si sa già che sono approssimativi? Che senso ha fare elenco di miniblocchi quando un grammo in più o in meno dipende dalle calorie dell’alimento, calorie che sono variabili? Il massimo lo si raggiunge con il miniblocco della marmellata: 15 g. Ma 15 g di una marmellata da 120 kcal/100 g o 15 g di una marmellata da 260 kcal/100 g?
Capitolo 5 – Arrivata a questo capitolo la delusione si è trasformata in scoramento. Ho poi scoperto che in tutto il libro non si parlava mai del fabbisogno giornaliero del soggetto se non a pag. 199. Indipendentemente dal fatto che l’uomo sia alto 190 cm o 165 cm, 1.500 kcal vanno bene. “Tanto la zona aggiusta tutto e non si ha fame!” mi sono detta con un ultimo guizzo d’entusiasmo (volevo solo convincermi che non avevo buttato i miei soldi). Nel capitolo 5 però tutto sembra chiaro:
“Consideriamo una donna di 70 kg in sovrappeso, con una percentuale di massa grassa del 33%… Per la Zona questa donna deve assumere giornalmente da 51 g a 70 g di proteine, il primo calcolato con coefficiente di attività 1,1 (sedentaria), il secondo con coefficiente 1,5 (lavoro + leggero fitness)”.
“Nella Zona si parte dalle proteine, di cui stabiliremo il fabbisogno in base alla propria massa muscolare… Poi si ricava in modo matematico (??) il fabbisogno glucidico giornaliero secondo il rapporto suddetto, e quello lipidico che risulta pari a 3 g per ogni 7 g di proteine 9 g di carboidrati“.
Ora, partendo dalle proteine e riunendo le due affermazioni precedenti, la nostra donna può mangiare al massimo giornalmente 70 g di proteine, 90 g di carboidrati e 30 g di grassi. Totale: 910 kcal al giorno!! È ovvio che dimagrirà, ma, poiché il conto parte sempre dalla sua massa magra (che la dieta non dovrebbe intaccare), anche quando sarà magrissima avrà sempre la stessa quota giornaliera. Sfido qualunque donna di circa 50 kg a vivere con sole 900 kcal al giorno. E poi, perché a pag. 199 si parla di 1.200 kcal per una donna se i calcoli ne danno meno di 1.000?
Pag. 148: I sei blocchi – “I pasti non possono essere costituiti da più di sei blocchi, altrimenti l’eccesso di cibo stimolerebbe comunque l’insulina“. Questo concetto è ripetuto in più punti e a mio avviso è la tomba della zona. A pag. 100 infatti si definisce che un blocco è costituito da 9 g di carboidrati, 7 g di proteine e 3 g di grassi. Totale, ma l’autrice non lo dice: 91 kcal. 6 blocchi sono 546 calorie. Quindi al massimo un individuo può assumere al giorno nei tre pasti circa 1.600 kcal; aggiungendo i tre spuntini si arriva al massimo a 2.000 kcal. Tanto vale dire che la zona è fatta per individui che al massimo possono assumere 2.000 kcal al giorno, ma se sono alto 190 e peso 90 kg con il 10% di massa magra o se sono un atleta che brucia 2.000 kcal al giorno in sola attività fisica come faccio?
Il concetto dei 6 blocchi raggiunge il massimo quando si parla di ricevere amici e farli mangiare in zona. Invito gli amici a pranzo e poi al massimo preparo loro un piatto unico di 546 kcal e spero che apprezzino?? (e la famosa cucina raffinata italiana fallirebbe perché per mangiare solo 546 kcal si dovrebbero pagare prezzi che svuoterebbero i ristoranti!).
Pag. 80: Il parmigiano – Per cercare di far tornare i conti e usare cibi mediterranei, si inserisce il parmigiano in tutti quei casi che c’è bisogno di una fonte proteica facilmente disponibile. Peccato che il parmigiano sia un formaggio contenente “troppi” grassi saturi nocivi. Tant’è che a pag. 80 fra i cibi da usare con moderazione si dice: “formaggi con oltre il 20% di grassi)”. Il parmigiano ne ha “solo” il 25-26%!! Perché allora usare il parmigiano per “salvare” il caffè (pag. 113) o l’aperitivo (pag. 115), addirittura i superalcolici (116) o usarlo nelle ricette dell’Appendice ? Il massimo dell’autogol sul parmigiano è a pag. 116: “meglio tenersi il solito parmigiano a portata di mano (o in borsetta)”. Il concetto del parmigiano in tasca (??) o in borsetta è ripetuto a pag. 165.

Il parmigiano reggiano è un prodotto D.O.P.
Pag. 116: Il miele – Come molti detrattori dello zucchero, l’autrice scivola sul miele. “il miele si può prendere, ma si deve ridurne il consumo, perché, essendo uno zucchero composto da glucosio e fruttosio in quantità variabili, ha un indice glicemico superiore a quello del fruttosio, che resta la fonte privilegiata”. “Al primo posto c’è il fruttosio, poi il miele e per ultimo il comune zucchero raffinato”. Ma l’autrice non tiene conto che il miele ha un indice glicemico leggermente superiore a quello dello zucchero. Se lo zucchero è da abolire perché il miele no??
Pag. 117: L’aspartame – “Si consiglia di evitare altri dolcificanti come l’aspartame perché nella scissione produce una sostanza tossica, il metanolo, che non giova alla salute“. Ma e allora che dire dell’alcol? Riporto da un suo articolo sul vino: “L’alcol etilico viene degradato nel fegato ad acetaldeide dall’alcol-deidrogenasi, poi ad acetato dall’acetaldeide-deidrogenasi e infine ad acetil-CoA che entra nel ciclo di Krebs. Durante il processo si formano acidi grassi che non vengono degradati a causa dell’effetto tossico dell’alcol sui mitocondri” Perché no al metanolo in quantità minima, visto che di aspartame se ne usa pochissimo, e sì alcol che per l’autrice può essere assunto con il vino in quantità moderata? Si dimentica che il nostro corpo è capace di eliminare le scorie finché non superano certi quantitativi. Infatti a pag. 10 e poi a pag. 114 si tenta di salvare il vino (altro grande alimento mediterraneo insieme a pasta e pane) con il vecchio salvagente della quantità moderata.
Pag. 236 e pag. 247: La pasta – Nel tentativo di salvare la pasta, potete mangiarla, ma mangiatene poca. Ovvio che il concetto di poca è relativo e su ciò gioca la zona italiana. Per sciogliere la confusione bastava indicare quantità precise. Sono rimasta sbalordita quando fra le ricette dell’Appendice B leggo “pasta pesata cotta 90 g” oppure “pasta pesata cotta 100 g“. Che bisogno c’è di dare la quantità cotta? Come fa il lettore a preparare il piatto partendo dalla pasta cruda? Poi ho capito! Si gioca sul fatto che molti non sanno che 90 g di pasta cotta corrispondono a circa 40 g di pasta cruda, un’inezia e che molti “memorizzano” solo il dato 90, credendo così che la zona consenta un bel piatto di pasta ogni tanto!
Pag. 125: La “semplicità della zona – “Se si ha voglia di un gelato si può aspettare l’orario della merenda e abbinarlo a una fonte proteica come formaggio o prosciutto“. Questa scelta si commenta da sola. Ma che dire di: (pag. 100) “Nella Zona è necessario consumare uno spuntino anche prima di coricarsi. Questa regola viene trasgredita (??) solo se passano meno di due ore tra cena e l’ora di coricarsi“, oppure (pag. 99) “non lasciare passare più di 5 ore tra un’assunzione di cibo e l’altra” o, peggio, (pag. 116) “meglio tenersi il solito parmigiano a portata di mano (o in borsetta)” o ancora (pag. 128) “suggerisce di allontanare dalla cucina tutti quei prodotti che non sono nella Zona, come merendine, biscotti, cioccolatini, caramelle e tutto ciò che può costituire una colpevole tentazione (??)“. Dopo queste frasi alla Zona preferisco un soggiorno dietetico in un campo di concentramento.
Pag. 159: Il salvataggio della pizza – Anche qui ci si arrampica sui vetri. Allora: “una pizza Margherita equivale a 9 miniblocchi di carboidrati e a 3 miniblocchi di proteine e di grassi“. Il tutto farebbe meno di 500 kcal, cioè una pizza di 250 g che nessuna pizzeria serve. Se va bene sono 650/700 kcal. Anche ammesso che riusciamo a farci servire una pizza piccola, dobbiamo scartare il bordo per un totale di 400 kcal circa. Oppure possiamo mangiarne solo metà. Se uno è un drogato della pizza la soluzione è penosa, altrimenti ne fa a meno e non va in pizzeria!
Pag. 179: I bambini – Anche con i minori! “Il dottor Sears (e dalli col dott.) dà come indicazione massima di fabbisogno 15 g di proteine per pasto con l’adeguato quantitativo di carboidrati e grassi, fino alla pubertà“. Ora 15 g corrispondono a 60 kcal quindi, poiché sono il 30% delle calorie del pasto, fino alla pubertà un bambino nell’età dello sviluppo deve consumare pasti da 200 kcal. Siamo a dosi da campo di concentramento!
Pag. 181: I panini – Bellissimo: “un buon panino costituito da 30 g di prosciutto e 15 g di pane…“. Vorrei proprio vedere come si riesce a confezionare un panino con tali quantità!!
Ora io mi chiedo: o sono cerebrolesa o parte delle mie perplessità sono condivisibili. Direttore come è possibile che la zona abbia avuto tanto successo? Alessandra.
Risposta. La zona non ha affatto avuto successo, se ne è parlato molto perché ai media è sembrata una rivoluzione che si è però sgonfiata sul campo. Per ammissione degli stessi zonisti dal 1995 a oggi sono oltre 3 milioni gli americani che hanno provato la zona. Se avesse veramente funzionato, gli oltre 60 milioni di americani che in tale periodo hanno provato una dieta si sarebbero adeguati. È la vecchia storia del bicchiere mezzo vuoto e mezzo pieno. Se su 20 pazienti 1 si salva, per alcuni il farmaco funziona, ma andate a chiederlo agli altri 19…
Zona italiana: il progetto Ener-Zona®
Da alcuni anni, la nota casa Enervit ha promosso il progetto Ener-Zona, progetto che vuole coniugare i principi della zona con l’alimentazione italiana. Per molti anni Enervit si è sempre contraddistinta per una notevole obiettività nel proporre i propri prodotti senza esagerate spinte commerciali. Poteva pertanto essere considerata come punto di riferimento per chi volesse inserire integratori nella propria alimentazione. Purtroppo con il progetto Ener-Zona si è allineata al mercato corrente, dove l’unico imperativo è: vendere!
Qual è il maggior difetto del progetto Ener-Zona? Il fatto che con la zona c’entri poco o nulla. La zona viene stiracchiata per darne una versione mediterranea che consenta di vendere di più, soddisfacendo ai gusti degli italiani che mal si sposano con le indicazioni classiche di Sears.
Nel volantino promozionale di Ener-Zona ci sono già alcune “chicche”.
Ovvio che l’Enervit abbia motivazioni commerciali, ma come si fa a scrivere: “La particolarità della Zona è che non richiede rinunce, infatti la Zona non è una dieta. È possibile quindi continuare a mangiare le cose che piacciono, purché in proporzioni e quantità determinate“? Come sanno tutti quelli che hanno letto il libro di Sears, la zona è una dieta ipocalorica (con i calcoli di Sears ognuno arriva a un fabbisogno giornaliero veramente modesto). E non è vero che si può continuare a mangiare le stesse cose di prima. Poi il volantino prende in esame la piramide della zona: ” i carboidrati ad esempio devono essere apportati da frutta e verdura, limitando il consumo di pane, pasta e riso”. Bellissimo, peccato che i primi piatti di Ener-Zona siano a base solo di tagliatelle e risotti! È chiaro il tentativo commerciale di sposare la zona al gusto italiano, ma si poteva fare di meglio.