Vitamina E dannosa per il cuore?
Maria Grazia ci segnala un articolo comparso su CNN salute in cui la vitamina E viene messa sotto accusa. Il dott. E. Miller della Hopkins University di Baltimora avrebbe esaminato 19 studi (1993-2004) che coinvolgono 136.000 persone in Nord America, Europa e Cina. Secondo Miller si avrebbe un aumento del 5% del rischio di mortalità fra chi assume almeno 200 UI di vitamina E e chi non la assume.
Ovviamente secondo i produttori di integratori la ricerca di Miller è solo un tentativo di visibilità.
In effetti Miller non ha spiegato le possibili cause e si è limitato a dire che la vitamina E ad alte dosi potrebbe essere ossidante, anziché antiossidante. Alcune osservazioni.
1) Buttare insieme una ventina di ricerche è la cosa meno scientifica che ci possa essere. Infatti, come tutti capiscono, le condizioni di partenza dei soggetti non sono le stesse. Non esistono studi così ampi (più di 100.000 soggetti) sull’effetto della vitamina E che considerino soggetti sani e con buon stile di vita. Buttando tutto nel calderone si pretende di giudicare un solo parametro quando statisticamente ce ne sono centinaia che influenzano la vita del soggetto. Come tutti sanno, una ricerca seria deve prendere in esame un campione in cui UN solo parametro varia. Quanto più c’è variabilità nel campione di partenza tanto più le deduzioni sono opinabili. Se fra coloro che assumono 200 UI di vitamina E inserisco anche soggetti affetti da qualche patologia (per la quale assumono la vitamina), è ovvio che la loro vita media (sono malati) sia inferiore a quella di soggetti sani.
2) Si è usato il trucco delle percentuali relative. Il 5% in più è un dato (come confessa lo stesso Miller) abbastanza poco significativo. Vuol dire che un soggetto di 50 anni, che ha il 2% di possibilità di non arrivare a 51 anni, avrebbe il 2,1% di probabilità assumendo vitamina E. La differenza è così piccola che annega nelle possibili obiezioni all’omogeneità del campione.

Alimenti ricchi di vitamina E come olio di germe di grano, germe di grano essiccato, albicocche secche, nocciole, mandorle, foglie di prezzemolo, avocado, noci, semi di zucca, semi di girasole, spinaci e paprika verde
3) Miller incorre nell’errore di tanti medici (più volte segnalato nel sito) che analizzano l’integrazione credendo che sia una panacea contro tutti i mali. L’integrazione vitaminica ha un senso nell’ottica dell’invecchiamento, ma invecchiamento non significa vita media più lunga (notate la finezza). L’invecchiamento è un processo biologico che può essere considerato alla stregua di una malattia, ma è una delle tante che possono concorrere ad abbreviare la vita. Cancro, rischio cardiovascolare, diabete, ipertensione si combattono soprattutto con lo stile di vita, non con l’integrazione vitaminica. Una recente ricerca di ricercatori del Brigham and Women’s Hospital di Boston, coordinati da J. Michael Gaziano, ha preso in esame nell’ambito del Physicians Health Study ben 14.641 medici maschi over 50 dal 1997 a oggi. I partecipanti sono stati divisi in 4 gruppi ai quali sono stati somministrate rispettivamente vitamina C, vitamina E, entrambe le vitamine o un placebo. Ebbene il risultato è stato che il tasso di mortalità è rimasto invariato fra i vari gruppi. I detrattori dell’integrazione vitaminica hanno fatto notare che la ricerca aveva evidenziato un aumento del 74% (ancora il trucco delle percentuali relative) in morti da ictus emorragici: non si sono nemmeno accorti che,s e la mortalità rimaneva invariata, voleva dire che la mortalità per altre patologie cardiovascolari diminuiva (la cosa è ovvia, se per esempio somministro una sostanza anticoagulante aumentano le morti dovute a emorragie e diminuiscono quelle dovute a infarto)!
4) Chiunque pretenda miracoli dall’integrazione vitaminica è fuori strada. Chi invece si limita a un controllo dei radicali liberi, può guardare con ottimismo a tantissime ricerche. L’ultima (novembre 2004) è quella di Actis-Goretta L, Carrasquedo F, Fraga CG.: The regular supplementation with an antioxidant mixture decreases oxidative stress in healthy humans. Gender effect. Clin Chim Acta. 2004 Nov;349(1-2):97-103. Si basa su un cocktail costituito da vitamina E 106 UI, betacarotene 10 mg, coenzima Q10 60 mg, selenio 40 microgrammi. I ricercatori hanno facilmente dimostrato che i radicali liberi si riducono del 32% e i benefici scompaiono dopo 30 gg dalla sospensione dell’integrazione (piccola sorpresa: gli uomini sono leggermente più colpiti delle donne dallo stress ossidativo).
Riassunto
La morale di tutte queste ricerche è abbastanza chiara:
prima viene lo stile di vita e poi l’integrazione vitaminica.
Studiare gli effetti dell’integrazione vitaminica su soggetti che hanno un cattivo stile di vita e sono sedentari è abbastanza fuorviante, un po’ come studiare gli effetti del colesterolo su chi fuma, beve o è in sovrappeso.
Vitamina E e cancro alla prostata
Nicola scrive per avere qualche delucidazione in più sulla possibile correlazione assunzione di vit E e tumore alla prostata, avendo avuto modo di leggere qualche dato che, appunto, metteva in correlazione un’assunzione di vitamina E a dosaggi superiori a 400 UI e tumore alla prostata (probabilità più alte).
Vediamo innanzitutto la ricerca: un gruppo di ricercatori dell’Università di Bologna ha pubblicato su “Scientific Reports” un lavoro che mostra che la vitamina E favorisce l’azione di una superfamiglia di enzimi, nota come CYP450, responsabile della trasformazione di sostanze pre-cancerogene in cancerogene finali.
Ora cerchiamo di capire i limiti della ricerca.
- Il primo è sempre molto frequente in questo tipo di ricerche: lo studio è condotto in vitro e in vivo su ratti, non sull’uomo. Ci si può però riferire a uno studio pubblicato su Jama (2011) che evidenzia un aumentato rischio di cancro alla prostata con l’assunzione di vitamina E: lo studio SELECT1 (che ha coinvolto 34.887 soggetti sani con rischio medio di cancro della prostata (ed età ≥50 anni) nel follow up a 5,5 anni ha mostrato un tasso di positività al tumore del 6%, mentre in chi assumeva la vitamina E (400 UI) del 7%. Usando il trucco delle percentuali relative, in molti articoli si parlava di un incremento del 17% (dal 6 al 7%), ma per capire la portata del problema si deve comprendere che riguarda un soggetto su 100. Qualunque farmaco efficace produce gravi patologie se assunto a lungo perché sposta equilibri che possono favorire una malattia, ma provocarne un’altra! Quindi si tratta di capire perché assumere vitamina E.
- Il secondo è proprio il fatto che la ricerca ha chiarito solo in parte il meccanismo perché i ricercatori hanno confermato l’attività cancerogena della vitamina E con studi di trasformazione cellulare basati sul benzopirene (un idrocarburo che si trova nel fumo di sigaretta e nei gas di scarico dei motori diesel); appare abbastanza evidente che la situazione per chi non fuma e per chi non frequenta abitualmente aree molto inquinate è diversa (e ciò inficia anche in parte lo studio del 2011 che non ha separato il campione in base alle abitudini e allo stile di vita, ma solo in base all’età e al valore inziale di PSA)
Per capire i limiti esatti della ricerca si dovrebbe scavare a fondo nella stessa, cosa che viene fatta su grandi e importanti riviste mediche. Scientific Reports
è una rivista che fa capo a un gruppo privato che già in passato dovette fare marcia indietro su alcune ricerche pubblicate (fra cui una che promuoveva una terapia omeopatica nella cura del dolore).
In conclusione, per un soggetto sano (in molte patologie l’integrazione è consigliata) assumere vitamina E è utile? Dipende dall’età e dalla sua attività sportiva. Un conto è un 45-enne che fa un’attività agonistica usurante e un conto è un 70-enne sedentario che assume integratori come elisir di giovinezza. Solo un’analisi medica sul singolo soggetto può dare una risposta scientificamente corretta.