The China Study è un libro pubblicato nel 2005 scritto dal biochimico e nutrizionista T. Colin Campbell, uno dei responsabili del Progetto Cina (China Project). Prima di parlare dell’opera di Campbell è opportuna una breve dissertazione sull’ambizioso China Project.
Il Progetto Cina è frutto della collaborazione fra Cornell University, Accademia cinese di Medicina preventiva, Accademia cinese di Scienze mediche e Oxford University; si tratta di uno studio epidemiologico molto vasto che ha indagato la relazione esistente fra salute, alimentazione e condizioni ambientali. Lo studio è stato suddiviso in due fasi distinte e separate; una prima indagine è iniziata nel 1983, la seconda nel 1989.
Il governo cinese ha fornito dati ritenuti affidabili su malattia e mortalità e il fatto che la Cina sia un Paese con una popolazione piuttosto stabile e con abitudini alimentari molto diverse ha consentito di valutare l’impatto di diverse tipologie di alimentazione su malattie e mortalità.
I ricercatori hanno osservato come diverse malattie (patologie coronariche, ictus, ipertensione arteriosa, tumore al seno, diabete ecc.), fra le maggiori responsabili di morti premature in Occidente, avevano in Cina, Paese dove fino a poco tempo prima il consumo di prodotti animali era ridottissimo, un’incidenza molto bassa; ciò ha fatto ipotizzare la presenza di una relazione tra le citate patologie e un regime dietetico basato molto su alimenti di origine animale, regime alimentare tipico della gran parte dei Paesi più sviluppati economicamente.
Chi legge il precedente paragrafo (in corsivo) potrebbe avere la sensazione che l’opera di Campbell sia una pietra miliare nella scienza della nutrizione; peccato che non si accorga che lo studio di Campbell usa un trucco statistico (correlazione indiretta) per arrivare a perorare ciò che vuole: infatti i risultati dello studio sarebbero veri anche per popolazioni che si cibano pesantemente di prodotti animali (per esempio popolazione di cacciatori africani). Il vero punto è che le patologie citate sono tipiche del benessere sia perché con il benessere si allunga la vita media (e tali patologie colpiscono maggiormente in età avanzata) sia perché il benessere paradossalmente peggiora lo stile di vita (maggiore sedentarietà, quindi obesità e sovrappeso, consumo maggiore di alcol ecc.). Insomma, il problema della Cina non è l’alimentazione (fra l’altro con l’alimentazione prevalentemente vegetariana cui allude Campbell la vita media dei cinesi era di quasi 20 anni inferiore a quella degli occidentali!), è il benessere mal gestito!
Di seguito, una critica divulgativa (quindi alla portata di tutti, non avete scuse se ritenute ancora fondamentale lo studio!), basata sull’analogo articolo scientifico di Pietro Sottile (The China Study e la caseina) pubblicato su Italia Unita per la Scienza.

The China Study (fonte: www.gruppomacro.com)
The China Study: cosa dice Campbell
Il libro scritto da Campbell, The China Study, è fondato sui risultati del Progetto Cina; nella sua opera, che ha ottenuto un certo successo di pubblico, l’autore fornisce la sua interpretazione dei dati osservando che esiste una relazione tra cibo e patologie cardiovascolari, cancro e diabete e che è possibile ridurre il rischio di contrarre queste patologie (o arrestarne lo sviluppo) attraverso la dieta.
Per capire ciò a cui si riferisce Campbell è necessaria una premessa.
Le proteine sono molecole formate da una o più catene di aminoacidi; esse si differenziano perlopiù per la sequenza degli aminoacidi che fanno parte della loro composizione. Le proteine sono necessarie nella dieta in quanto, gli uomini non potendo sintetizzare tutti gli aminoacidi di cui hanno bisogno, devono ottenerne alcuni tramite il regime alimentare (i cosiddetti aminoacidi essenziali).
Il processo digestivo “spezza” le proteine assunte e aminoacidi liberi che vengono poi impiegati per sintetizzare nuove proteine, enzimi, ormoni ecc.
Tradizionalmente, le proteine alimentari vengono suddivise in proteine nobili e proteine non nobili a seconda del loro profilo aminoacidico e cioè in base alla presenza nelle giuste quantità dei citati aminoacidi essenziali, quelli che, lo ribadiamo, non possono essere sintetizzati dal corpo, ma devono essere assunti attraverso l’alimentazione; i restanti aminoacidi, invece, possono essere sintetizzati per via endogena.
Va adesso introdotto il concetto di aminoacido limitante; viene così definito quell’aminoacido essenziale la cui quantità condiziona la possibilità di sintetizzare nuove proteine; l’aminoacido limitante è quindi il collo di bottiglia del processo di sintesi.
La caseina è una proteina nobile presente nel latte e anche nei suoi derivati; non ha aminoacidi limitanti.
La lisina è uno degli otto aminoacidi essenziali; è l’aminoacido limitante del frumento.
Fatte queste premesse, possiamo entrare nel vivo della questione.
Un esperimento effettuato da Campbell su cavie di laboratorio ha mostrato che la caseina ha una relazione stretta con il cancro così da poter essere utilizzata, a mo’ di interruttore (accendi/spegni) della crescita neoplastica; Campbell ha imposto un regime alimentare costituito per un 20% da caseina a un gruppo di topi e per un 5% a un altro gruppo. Alle cavie era stata somministrata aflatossina per indurre la crescita di tumori.
Nel secondo gruppo di topi, i tumori che si sviluppavano erano decisamente più piccoli di quelli dei topi che facevano parte dell’altro gruppo; successivi esperimenti, effettuati sostituendo la caseina con proteine derivate dalla soia e dal frumento, hanno mostrato che non sussisteva più la stessa differenza in termini di crescita fra i due gruppi.
Campbell ha concluso che la caseina potesse essere uno degli agenti cancerogeni più potenti di cui si sia venuti a conoscenza.
Campbell non ha però detto niente riguardo a un esperimento condotto nel 1989 che aveva mostrato che le proteine del frumento avevano effetti cancerogeni simili a quelli della caseina quando venivano integrate con lisina (l’aminoacido limitante del frumento); ciò suggerisce che una qualsiasi combinazione complementare di aminoacidi possa stimolare la crescita neoplastica, concetto che può essere applicato sia alle proteine di origine vegetale sia alla caseina che alle proteine di derivazione animale in generale.
È decisamente probabile che la sola ragione per la quale negli esperimenti condotti da Campbell sia sembrato che le proteine di derivazione vegetale avessero un ruolo protettivo contro lo sviluppo tumorale sia dovuta a una deficienza di uno o più aminoacidi essenziali; situazione questa che difficilmente si verifica nella realtà quotidiana, dato che generalmente si tende ad assumere sia alimenti di origine vegetale che di origine animale. Lo stesso Campbell, del resto, fa notare che una dieta vegana varia consente di assumere tutti gli aminoacidi essenziali, esponendo quindi il soggetto agli stessi fattori di rischio che Campbell imputava alla caseina.
Campbell peraltro non riconosce la corposa letteratura scientifica che evidenzia che, effettuando esperimenti analoghi a quelli fatti dal biochimico statunitense, le proteine del siero del latte hanno significativi poteri antineoplastici.
Il fatto che le proteine del siero del latte, tipiche proteine di derivazione animale, contribuiscano al rallentamento della crescita neoplastica piuttosto che al suo stimolo, fa crollare l’ipotesi di Campbell che ritiene che l’effetto che la caseina ha sui topi possa essere attribuito indiscriminatamente a tutte le proteine di derivazione animale.
Campbell per di più non fornisce prove che attestino determinate sue considerazioni, ovvero che:
- assumendo la caseina l’organismo umano subirebbe gli stessi effetti dei topi esposti ad aflatossina (la sostanza che lo scienziato ha utilizzato per indurre le neoplasie);
- la caseina avrebbe gli stessi effetti anche se venisse somministrata nella sua forma naturale, ovvero all’interno degli alimenti;
- gli effetti della caseina possono essere estesi a tutte le proteine di derivazione animale.
C’è n’è abbastanza per farci dubitare fortemente delle asserzioni di Campbell, ma possiamo andare oltre.
In The China Study, Campbell porta a sostegno della sua tesi il fatto che nei Paesi in cui si fa un maggiore utilizzo del latte, si registra un’incidenza più alta di tumori al seno. Può essere, ma guarda caso questi Paesi sono quelli in cui l’aspettativa di vita è più alta e in cui i sistemi sanitari sono migliori di altri; non è azzardato ritenere che la più alta incidenza di tumori al seno sia dovuta a una maggiore lunghezza della vita media e al fatto che il numero di diagnosi è maggiore nei Paesi con sistemi sanitari nazionali più all’avanguardia (la sanità statunitense e quella australiana sono decisamente più avanzate di quelle dello Zimbabwe e dell’Algeria).
Campbell dovrebbe anche sapere che il latte umano contiene alte concentrazioni di caseina; viene da chiedersi se non sia il caso di consigliare a tutte le donne di smettere di allattare i propri figli…
The China Study: considerazioni critiche
The China Study è il classico esempio che dimostra che la ricerca non è scienza e di come si possa facilmente arrivare a conclusioni scorrette, manipolando dati o esperimenti, magari non per dolo, ma solo per arrivare a un certo punto. Le varie asserzioni di Campbell non sono che una forzata interpretazione di dati che porta a conclusioni sballate; nello studio sono presenti tanti di quegli errori che chi fa ricerca dovrebbe evitare, senza avere le fette di salame sugli occhi perché innamorato di una tesi.