I test per le intolleranze alimentari sono fondamentali per la diagnosi dell’intolleranza; si ricorre a test convenzionai oppure a test che fanno parte della medicina alternativa.
Ricordiamo che esistono due tipi di intolleranze: intolleranze enzimatiche (dovute a difetti congeniti, sono causate dall’incapacità di metabolizzare alcune sostanze) e intolleranze farmacologiche (dovute a una esagerata reattività a certe molecole presenti nei cibi o ad additivi)
Diagnosi di intolleranze alimentari enzimatiche
Per la diagnosi di intolleranza al lattosio si ricorre al breath test.
Per la diagnosi di malattia celiaca (celiachia) sono invece indicati test sierologici (anticorpi antitranglutaminasi, antiendomisio, antigliadina deaminata) che ricercano nel sangue del paziente la presenza degli anticorpi specifici; la conferma viene successivamente fornita dall’esame istologico di campioni di tessuto ottenuti mediante biopsie duodenali effettuate nel corso di un’esofagogastroduodenoscopia.
Per la diagnosi di favismo si ricorre a striscio periferico e al dosaggio della glucosio-6-fosfato deidrogenasi (G6PD).

L’intolleranza al lattosio è causata da un difetto delle disaccaridasi (enzimi che hanno il compito di metabolizzare i carboidrati)
Diagnosi di intolleranze alimentari farmacologiche
In presenza di sintomi gastrointestinali aspecifici come cattiva digestione, gonfiore, pesantezza o alterazioni dell’alvo, molti pazienti effettuino un’autodiagnosi di intolleranza alimentare arrivando ad auto-prescriversi o a chiedere al medico di eseguire test non convenzionali di intolleranza alimentare. Sul mercato di questi test ne esistono molti, ma non hanno alcuna valenza scientifica.
Spesso i disturbi citati sono dovuti non a un singolo alimento, ma ad abitudini e stili di vita errati. Le diete di privazione (che cioè eliminano l’alimento) che sono redatte alla luce dei risultati del test non convenzionale possono portare, anche benefici temporanei, per effetto placebo, benefici che non sono quasi mai duraturi e inoltre rischiano di creare squilibri alimentari.
Per la diagnosi di intolleranza alimentare di tipo farmacologico (per esempio dovuta a un particolare additivo) non resta che quella per esclusione: è possibile solo dopo aver indagato ed escluso un’allergia alimentare. L’indagine utilizzata per accertarla consiste nell’individuare l’alimento sospetto, eliminarlo dalla dieta per 2-3 settimane e poi reintrodurlo per altre 2-3 settimane. Se i sintomi scompaiono durante il periodo in cui viene abolito l’alimento e si ripresentano nel momento in cui viene reintrodotto nella dieta si tratta di una reazione avversa al cibo. A questo punto si verifica, attraverso test diagnostici, se è coinvolto il sistema immunitario e se si tratta pertanto di un’allergia; in caso contrario il disturbo è molto probabilmente dovuto a un’intolleranza.
Si deve notare che spesso è opportuno fare diversi cicli di introduzione/reintroduzione dell’alimento per evitare che la psicologia del soggetto influenzi i risultati (ottimale sarebbe che almeno un ciclo avvenga all’insaputa del soggetto testato), cioè che si abbia un effetto nocebo.
I test per le intolleranze alimentari alternativi (non convenzionali)
Esistono diversi test che non rientrano nella medicina convenzionale e che ottimisticamente promettono di rivelare le intolleranze alimentari.
- Vega -Un test come altri simili (Bioscreening, Biostrenght test, Sarm test, Moratest) che dovrebbe funzionare osservando nell’elettroagopuntura secondo Voll le variazioni del potenziale elettrico in relazione al contatto con alimenti “nocivi”. In due recenti studi la metodica non si è dimostrata in grado di distinguere i sani dai malati allergici ad acari o gatto.
- Citotest – Nulla dimostra che l’allergia alimentare sia sostenuta da meccanismi di citotossicità; il test non individua reazioni immunologiche. Anche la variante Alcat non ha spessore scientifico.
- Test del capello – In uno studio del 1987 (pubblicato su Lancet) si è valutata l’incapacità di discriminare soggetti affetti da allergie alimentari al pesce da soggetti sani. In 5 diversi laboratori stesso negativo risultato.
- DRIA – Uno studio pubblicato dal British Medical Journal (1988) ha dimostrato che la capacità di discriminare pazienti con patologie è “puramente casuale”.
- Dosaggio IgG specifiche – Almeno 4 studi controllati evidenziano che anticorpi IgG specifici per i comuni allergeni alimentari possono essere riscontrati in soggetti sani e in altre patologie. Il loro dosaggio non fa parte della diagnostica dell’allergia alimentare.
- Iridologia – Una rassegna di quattro studi controllati disponibili ne esclude la validità diagnostica.
- Biorisonanza – Afferma che l’organismo può emettere onde elettromagnetiche e che gli alimenti possano influenzare l’emissione. L’apparecchio in commercio non è in grado di misurare le presunte onde elettromagnetiche e non esiste alcuna prova scientifica a supporto del test.
- Pulse test (riflesso cardiaco auricolare) – L’intolleranza a un certo alimento assunto per bocca, per iniezione o per inalazione, ma anche posto a 1 cm dalla cute, sarebbe in grado di modificare la frequenza cardiaca. Lo spessore scientifico è nullo.
Perché hanno successo? Secondo Carolina Ciacci, gastroenterologa al Federico II di Napoli, “offrono una risposta ai malesseri, sono facilmente accessibili, si decide da soli quando farli, basta pagare. Io, però, li vieterei“.