La sindrome metabolica [nota anche come sindrome da insulino-resistenza, sindrome X, sindrome dismetabolica, sindrome di Reaven e, in Australia, CHAOS (Coronary artery disease, Hypertension, Atherosclerosis, Obesity, and Stroke)] è una condizione clinica particolarmente preoccupante associata a situazioni come il sovrappeso e l’obesità; la sua diffusione è decisamente allarmante, in particolar modo per quel che riguarda le società industrializzate; per quanto concerne il nostro Paese, si stima che gli adulti affetti dalla sindrome metabolica siano più di 10 milioni; si ritiene che il problema interessi poco meno della metà delle persone adulte che si trovano al di sopra dei 50-60 anni di età, dati che la dicono lunga su come l’attenzione a un corretto stile di vita per molti non sia una priorità.
Dal punto di vista clinico, un soggetto può ritenersi affetto da sindrome metabolica quando sono presenti almeno tre dei valori di riferimento indicati sotto:
- Pressione arteriosa superiore a 135/85 mmHg.
- Valore dei trigliceridi superiore a 150 mg/dl.
- Colesterolo HDL inferiore a 50 mg/dl nella donna e inferiore a 40 mg/dl nell’uomo.
- Glicemia a digiuno superiore a 110 mg/dl (100 mg/dl secondo le indicazioni dell’ADA, l’American Diabetes Association).
- Circonferenza addominale superiore a 88 cm per le femmine e 102 per i maschi (conformazione a mela).
Per chi ha una certa dimestichezza con questi valori, è facile comprendere come i limiti sopraindicati siano inferiori a quelli ritenuti significativi per considerare una situazione patologica; infatti, per esempio, i livelli di pressione arteriosa sopra indicati non sono elevati a tal punto di poter parlare di ipertensione arteriosa (affinché un soggetto sia considerato iperteso i suoi valori pressori devono costantemente superare i 140/90 mmHg); non si può nemmeno parlare di ipertrigliceridemia (si dovrebbe superare il limite dei 200 mg/dl; valori fra 151 e 199 mg/dl sono considerati soltanto leggermente alti) e di diabete (il valore di glicemia di riferimento sopra indicato è considerabile solamente “sospetto” per diagnosticare il diabete; di norma un soggetto è considerato diabetico quando a digiuno i suoi livelli di glicemia superano i 126 mg/dl).
Per quanto concerne il colesterolo HDL, i valori indicati, pur piuttosto bassi, non sono sufficienti, da soli, a collocare il soggetto nella fascia di rischio cardiovascolare elevato.
Per quanto riguarda invece i valori della circonferenza addominale, quelli indicati autorizzano effettivamente a parlare di sovrappeso che, detto per inciso, è il fattore di rischio più importante.
Il fatto che tali valori, presi singolarmente, non consentano di considerare come patologica una determinata situazione, ha notevole importanza perché finalmente obbliga medici troppo conservatori a non ritenere normali persone in netto sovrappeso. Si deve infatti considerare che è ormai da tutti accettato che un eccesso di massa adiposa, in particolar modo se concentrata nella zona addominale, conduce a squilibri del metabolismo lipidico e di quello glicidico; ciò porta a una condizione di iperinsulinemia che nel peggiore dei casi porta alla comparsa di diabete, mentre in casi più lievi (ma non per questo da non prendere in seria considerazione) conduce alla sindrome metabolica.
Infatti, la ricerca medica ha ormai dimostrato l’associazione tra la sindrome metabolica (cioè il superare almeno tre dei valori di riferimento) e lo sviluppo di diverse patologie (malattie cardiovascolari, epatiche, renali, oculari).
Insomma, la sindrome metabolica deve essere considerata l’anticamera di problemi più gravi (il rischio di contrarre determinate malattie è di circa 4 volte superiore a quello delle persone sane) e se si vuole evitarli si deve intervenire adeguatamente.
Sindrome metabolica e stile di vita
Nella maggior parte dei casi
lo sviluppo della sindrome metabolica è dovuto principalmente a uno scorretto stile di vita (alimentazione scorretta, bassa efficienza fisica ecc.).
Semplificando possiamo affermare che non è necessario essere obesi per essere affetti da sindrome metabolica!
Una domanda per chi crede che la sindrome metabolica non dipenda da uno stile di vita scorretto: quante sono le persone che, sportive, con una sana alimentazione, non in sovrappeso, improvvisamente in età adulta hanno incominciato a soffrire di sindrome metabolica? La risposta è semplice: ZERO.
Sindrome metabolica e grasso viscerale
Come già accennato nel paragrafo iniziale, il fattore maggiormente associato a condizioni precarie per il rischio cardiovascolare e per il diabete (vedi quinto punto della sindrome metabolica) è la quantità e la distribuzione dell’organo adiposo (cioè del grasso corporeo); entrando nel dettaglio, dalla ricerca scientifica si rileva che
l’accumulo di peso sottoforma di grasso viscerale (in altre parole l’aumento del girovita) è correlato a patologie cardiovascolari, al diabete e alla riduzione dell’aspettativa di vita [Montera, 2004].
Il grasso, infatti, si accumula a livello strutturale (grasso essenziale) e a livello di deposito (grasso di scorta); quello essenziale è presente in quantità pressoché costanti e si trova nel tessuto connettivo lasso (svolge funzione meccanica, di sostegno e connessione tra i vari organi), intorno a organi ecc. Il grasso di scorta invece si distribuisce a livello intramuscolare (tra le fibre muscolari, ma è difficilmente misurabile), sottocutaneo (cioè quello sotto la pelle, sollevabile tramite un pizzicotto) e viscerale; è proprio quest’ultimo ad essere considerato più pericoloso per la salute.
NOTA – Gli uomini, e le donne nel periodo post-menopausa, accumulano il grasso neoformato prevalentemente a livello viscerale, mentre le donne prima della menopausa lo accumulano prevalentemente a livello sottocutaneo. Infatti il rischio di malattie coronariche e di mortalità è maggiore (a parità di massa grassa) nei maschi e nelle donne dopo la menopausa.

La misura del girovita è un fattore importante per diagnosticare la sindrome metabolica, che non provocando sintomi nell’immediato può non essere facilmente riconoscibile
Riduzione dei fattori di rischio
È ampiamente risaputo che una corretta alimentazione e lo svolgimento di un’attività fisica adeguata sono in grado (se adeguatamente bilanciati) di ridurre il peso corporeo, il grasso viscerale, il rischio cardiovascolare, l’insulino-resistenza e il rischio di mortalità.
La riduzione dei diversi fattori di rischio, quindi è fortemente associata alla riduzione del girovita che rappresenta fedelmente la quantità di grasso viscerale; infatti
la riduzione di 1 cm corrisponde al 4% di riduzione di grasso viscerale (Ross et al.).
Per soggetti in condizione di sovrappeso e obesità, si potrebbe quindi ipotizzare il seguente percorso:
Deficit calorico (indotto da dieta e/o attività fisica adeguata) –> diminuzione del peso –> riduzione grasso viscerale –> riduzione fattori di rischio e miglioramento dell’aspettativa di vita.
Una giusta combinazione tra dieta ed esercizio fisico sicuramente non può essere considerata la panacea di tutte le malattie, infatti anche la base genetica ha una grossa influenza; vogliamo citare però le conclusioni di una ricerca di Ross (2003) proprio sugli effetti di un corretto stile di vita (in particolar modo in riferimento a un’adeguata attività fisica):
“È difficile immaginare una più efficace strategia terapeutica per la riduzione dell’insulino-resistenza e, più importante, per l’incremento generale della salute e del benessere“.
Nei maschi (rispetto alle femmine) la perdita di grasso è maggiore a livello viscerale, con una conseguente riduzione più marcata dei fattori di rischio. Si pensa che questo avvenga per la maggior sensibilità degli adipociti (cioè le cellule che accumulano i lipidi) del grasso viscerale nei confronti della restrizione calorica rispetto agli adipociti presenti nel tessuto sottocutaneo. In altre parole,
i maschi, rispetto alle femmine, accumulano più grasso a livello viscerale, ma sono più sensibili al dimagrimento nella stessa zona.
Il comportamento delle donne dopo la menopausa si presume possa essere lo stesso di quello degli uomini.
L’importanza dell’attività fisica per la prevenzione della sindrome metabolica
È da ricordare che gli effetti benefici dell’attività fisica vanno ben oltre a quello che è il dimagrimento. Infatti, anche senza perdita di peso (in soggetti affetti da obesità o sovrappeso) l’esercizio, svolto in maniera corretta, è in grado di:
- Ridurre l’insulino-resistenza, con la diminuzione del rischio di diabete tipo 2 (Ross, 2003).
- Incrementare la massa magra a discapito di quella grassa; ciò porta alla riduzione del grasso viscerale e quindi del rischio cardiovascolare (Ross et al., 2000 ).
Inoltre, dalla letteratura scientifica:
- Per soggetti obesi, un basso livello di fitness (efficienza fisica) è un forte e indipendente fattore di rischio di mortalità di comparabile importanza al diabete, all’ipercolesterolemia, all’ipertensione e al fumo.
- Sembra che l’attività fisica non solo attenui i fattori di rischio in soggetti obesi o in sovrappeso, ma soggetti obesi sportivamente attivi hanno una minor mortalità di individui sedentari normopeso.
- Il rischio di mortalità decresce proporzionalmente all’incrementare della massima potenza aerobica.
Criteri di accettabilità e step successivi
L’inattività e un basso livello di efficienza cardiorespiratoria sono predittivi di mortalità tanto quanto lo sono il sovrappeso e l’obesità [Blair et al., 1999].
Come altre volte ribadito, uno stile di vita corretto non solo deve essere accompagnato da un regime alimentare equilibrato, ma anche da un esercizio fisico che non può limitarsi al paio di volte a settimana. Importante, a questo punto, è stabilire criteri di accettabilità e classificazioni che siano estremamente pratici (cioè fattibili anche senza esami con apparecchiature sofisticate). Per soggetti che non hanno controindicazioni alla pratica sportiva:
- Criterio minimo di accettabilità: test del moribondo.
- Primo step: test del moribondo, assenza di sovrappeso e di fattori di rischio principali (sindrome metabolica, fumo, alcol, ipertensione, indice di rischio cardiovascolare).
- Secondo step: come il primo step, ma con aggiunta della ricerca della migliore prestazione del proprio organismo (si legga per esempio l’articolo Da principiante a runner); a questo livello, lo stato di salute dell’individuo si può presumere dal rapporto fra la prestazione attuale e quella fisiologica massima del soggetto in questione con un allenamento di 6-8 ore settimanali.
N.B.: ricordiamo che i benefici di un’attività fisica adeguata hanno risvolti positivi non solo nei confronti dei fattori di rischio, ma anche sui parametri ormonali (e quindi sull’invecchiamento), respiratori e comportamentali.
Sindrome metabolica ed esercizio fisico
Purtroppo il test del moribondo per un soggetto obeso e con elevato rischio cardiovascolare è improponibile oltre che impossibile. Ciò non significa che la pratica fisica debba essere evitata, ma
prescritta con una certa precisione da parte di personale medico specialistico, meglio se insieme a istruttori qualificati.
- Si deve indirizzare il soggetto verso un’attività fisica che non comporti problemi di ordine osteo-articolare; in questo caso l’attività ideale è il cammino, più di quanto lo sia il ciclismo.
- L’intensità è il parametro più delicato da definire; una visita cardiologica sotto sforzo permette di identificare le intensità da evitare. Importanti riferimenti sono i valori oltre i quali la pressione sale oltre i limiti di tolleranza e i valori ai quali si verifica ischemia miocardia (individuabile sia a livello elettrocardiografico che sintomatologico). Sono da considerare anche altri particolari indizi come il disagio respiratorio (spesso una quantità eccessiva di grasso viscerale comporta difficoltà ai movimenti della gabbia toracica), problemi di termoregolazione, diabete, asma ecc.
- Il passo successivo è quello di stabilire un programma di attività fisica che, per intensità e durata, sia adeguato al soggetto; egli deve essere informato anche sui più piccoli dettagli come l’idratazione, gli orari ideali in cui praticare l’attività (in particolar modo nei mesi caldi), la collocazione temporale dell’assunzione di eventuali farmaci ecc.
- La monitorizzazione dello stato di salute dovrebbe essere abbastanza frequente (almeno una volta ogni 4-6 settimane) per dare al paziente un feedback “incoraggiante”.

Lo sport è un elemento chiave per prevenire non solo la sindrome metabolica, ma tutte le condizioni patologiche derivanti dall’età
Trattamenti farmacologici
Come detto, la prevenzione è l’arma migliore contro la sindrome metabolica; quando però la situazione è particolarmente seria e i vari accorgimenti salutistici non sembrano essere in grado di sortire gli effetti sperati, il medico può prendere in considerazione l’idea di prescrivere determinati farmaci. Fra quelli più utilizzati per combattere la sindrome metabolica vi sono gli antipertensivi (diuretici, beta-bloccanti, ACE-inibitori e calcio-antagonisti), gli anticolesterolemizzanti (fibrati, niacina e statine) e gli antidiabetici (ipoglicemizzanti orali, insulina).
La dieta per la sindrome metabolica
Dettagliate informazioni di carattere alimentare sono contenute in un articolo a parte (Dieta per la sindrome metabolica).