La sazietà è un concetto molto importante perché ogni dieta non può prescindere dalla capacità di combinare i cibi in maniera tale da evitare il più possibile lo stimolo della fame. Molte diete teoriche falliscono proprio perché sono irrealizzabili dal punto di vista della sazietà o dell’appetibilità dei cibi. Lo studio di questi due aspetti dovrebbe essere tanto importante quanto lo studio calorico o quanto la ripartizione dei macronutrienti nella dieta.
La maggiore difficoltà è rappresentata dal fatto che i concetti di sazietà e di appetibilità sono soggettivi: rispetto a questi due fattori, chi imposta la dieta deve cioè trattare i vari alimenti in modo diverso per ogni soggetto. Finora si è cercato di attribuire la sazietà provocata dai cibi a fattori quali il loro volume, la loro composizione (i grassi saziano più dei carboidrati che vengono digeriti più facilmente), il loro aspetto (componente psicologica da non sottovalutare) ecc. In effetti queste considerazioni sono in linea di massima giuste, ma non consentono di arrivare a nulla di quantitativo.
Indice di sazietà
L’indice di sazietà, IS, è un parametro che misura il senso di sazietà a breve termine (entro due ore) tramite l’assunzione di una quota isocalorica standard di 1.000 kJ del cibo in questione (equivalenti di 240 kcal circa).
Questa la definizione ufficiale che però sottintende un grossolano errore: prescinde dal peso del soggetto. 240 kcal di un alimento possono essere molto sazianti per una donna di 45 kg, mentre lo sono certamente di meno per un uomo alto 190 cm e pesante 100 kg.
La dieta italiana (2017) propose una definizione più moderna:
l’indice di sazietà, IS, è un parametro che misura il senso di sazietà a breve termine (entro due ore) tramite l’assunzione di una quota isocalorica standard di 5 kcal/kg di peso del soggetto.
In altri termini, se il soggetto pesa 45 kg assumerà 225 kcal, se pesa 100 kg assumerà ben 500 kcal del cibo sotto esame.
L’indice di sazietà è importante perché una dieta composta da alimenti ad alto IS porterebbe a essere più sazi e a ridurre l’introito calorico quotidiano.

Ogni dieta non può prescindere dalla capacità di combinare i cibi in maniera tale da evitare il più possibile lo stimolo della fame.
Una volta definito, appare però molto difficile darne un valore oggettivo.
Lo studio di Sydney (1995) – Il risultato della ricerca A satiety index of common foods da parte di Holt et al., fu pubblicato sull’European Journal of Clinical Nutrition (settembre 1995). La ricerca stabiliva l’isocaloricità della prova (cioè lo stesso numero di kcal per alimento testato); furono testati solo 38 tipi di cibo e l’eclatante risultato fu che certi cibi saziano più di altri (conclusione a cui arriverebbe chiunque). Tra i cibi più sazianti, le patate bollite, la frutta fresca, il pesce e le carni magre. I cibi meno sazianti erano croissant, ciambelle, barrette al cioccolato e arachidi.
L’anno successivo i ricercatori ci riprovarono cercando di correlare la sazietà alla risposta glicemica e insulinica (ricordiamo che una correlazione non è una causa!). Non notarono correlazione, anche se fu trovata una strana correlazione negativa fra consumo di cibo dopo due ore e risposta insulinica: i cibi che producevano una maggiore risposta insulinica entro 120 minuti erano associati con un minor consumo di cibo dopo le due ore. La cosa è smentita dalla semplice evidenza e dal fatto che croissant e ciambelle erano stati bocciati dal primo studio!
La ricerca Nutrition Data (2003) – Brevettando addirittura il metodo di calcolo dell’indice di sazietà, la Nutrition Data usò un modello matematico con un’analisi multivariata. Scoprirono che c’è una buona correlazione tra i valori di indice di sazietà e la densità calorica di ogni cibo, ma per questo non occorreva un brevetto.
Lo studio della Bassa California (2007) – Ricercatori messicani, evidentemente in cerca di gloria, studiarono un campione estremamente vasto di donne (ben otto!), spostando il periodo della valutazione a tre ore (giusto per trovare risultati diversi) e il monitoraggio della sazietà era verificato ogni 30 minuti, invece di 15. I risultati suggerirono la necessità di promuovere il consumo di cibi ad alto contenuto di fibre, carboidrati a basso indice glicemico e un alto volume di acqua (e quindi ridotta densità calorica).
Affidabilità delle ricerche
Dopo oltre 20 anni che si sta lavorando sull’indice di sazietà, si è ancora in alto mare. Le ricerche condotte e i dati prodotti risentono di diversi problemi pratici:
- eseguire ricerche su un numero limitato di soggetti (qualche decina) non consente di affermare nulla, visto che la sazietà ha una componente fortemente individuale che può essere mediata solo analizzando centinaia di individui, cosa costosissima (se fatta bene) e quindi poco fattibile. Come si suol dire, la ricerca non è scienza!
- Le tabelle degli indici di sazietà sono decisamente poco pratiche perché di fatto contengono per la maggior parte pochi alimenti (ricordiamo che mediamente nella nostra alimentazione veniamo in contatto con quasi 1.000 cibi l’anno, considerando le varie varietà di ogni alimento) e ha pertanto poco senso dire che lo yogurt ha un indice di sazietà X, visto che di yogurt ne esistono decine di varianti! Anche le tabelle che si esprimono per intervalli, hanno intervalli così ampi per ogni alimento da essere praticamente inservibili.
Nel paragrafo che segue si capirà facilmente la difficoltà delle varie ricerche e appare incredibile che molti ricercatori pur di arrivare a un risultato non abbiano considerato gli ovvi ostacoli a un discorso assoluto sull’indice di sazietà.
Una visione pratica
Per una visione salutistica dell’alimentazione, è opportuno affrontare il problema praticamente, utilizzando le varie ricerche come spunto di riflessione.
La sazietà è influenzata da:
- potere calorico dell’alimento
- riempimento gastrico
- digeribilità
- appetibilità.
Potere calorico – Poiché l’indice di sazietà si misura per 10 kcal/kg, è evidente che quanto più un cibo è calorico, tanto se ne assume di meno durante la prova e quindi è più difficile che sia saziante. Per questo motivo, per esempio, le arachidi non risultano molto sazianti. Frutta e soprattutto verdura sono invece molto sazianti perché di fatto consentono un maggior quantitativo di assunzione. Si noti come, fra la frutta fresca, l’uva risulti meno saziante, per esempio, delle mele, perché, a pari appetibilità, è decisamente più calorica.
Riempimento gastrico – Il contenuto d’acqua e la struttura chimica della sostanza fanno sì che più il cibo introdotto è voluminoso, tanto più sazia. Per esempio, la panna ben montata (quindi con un po’ d’aria all’interno e con un quantitativo di acqua non minimale) è sicuramente un alimento saziante. Ovviamente il riempimento gastrico è tanto più importante quanto più è piccolo lo stomaco del soggetto, per questo slegare la definizione di indice di sazietà da peso del soggetto è un grossolano errore. A parità di peso corporeo, la soggettività del parametro riempimento gastrico dipende dall’attitudine o no dell’individuo a restrizioni caloriche: quanto più è abituato ad abbuffate, tanto più lo stomaco ha una maggiore difficoltà a “riempirsi”.
Digeribilità – Quanto più un alimento è digeribile tanto meno sazia. Per cui, alimenti ricchi di fibre, grassi e proteine (macronutrienti che producono una digestione più lenta) sono più sazianti dei carboidrati e, fra questi, quelli a più alto indice glicemico (che vengono assimilati prima) sono meno sazianti di quelli a basso indice glicemico. Si noti come riempimento gastrico e digeribilità si completino a vicenda: la situazione migliore si ha per un alto riempimento gastrico e una digeribilità bassa. Anche la digeribilità ha un contributo soggettivo dovuto alle idiosincrasie alimentari del soggetto (la classica frase “il tal cibo non lo digerisco”; ciò spiega perché alcuni soggetti ritengono noci o arachidi particolarmente sazianti, contrariamente alla media della popolazione).
Appetibilità – Purtroppo il tentativo di costruire indici di sazietà assoluti si scontra con l’appetibilità individuale dei cibi. Risulta a tutti evidente che se mangiamo una fetta di crostata che ci piace moltissimo, ci resta “la voglia” di averne ancora. Analogamente, se non amiamo cibi zuccherati, l’assunzione di un dessert molto “dolce” può disgustarci a tal punto da rimanere sazi più a lungo rispetto a quanto accade se mangiamo la crostata per la quale andiamo matti. Classico è il caso in cui un cibo poco appetibile “ci resta sullo stomaco”. Appare quindi ottimistico svincolare l’indice di sazietà dall’appetibilità individuale.
La soluzione
Combinando i quattro fattori e le indicazioni di massima date dalla ricerca, ognuno dovrebbe farsi una propria tabella dell’indice di sazietà per poter seguire un’alimentazione orientata a evitare il sovrappeso.