Cosa si intende con l’espressione punto di fumo? Se sottoponiamo un olio a un deciso innalzamento termico, per effetto della temperatura l’olio è prima idrolizzato in glicerolo e acidi grassi. La degradazione dell’olio avviene poi per trasformazione del glicerolo (con perdita di acqua) in acroleina (aldeide acrilica); tale fenomeno è visibile perché l’acroleina* appare sotto forma di fumo che abbandona l’olio. La formazione di acroleina è tanto maggiore quanto più l’olio è ricco di acidi insaturi (più sensibili al calore) e determina il punto di fumo dell’olio in questione.
L’acroleina è irritante per la mucosa gastrica e nociva per il fegato: la somministrazione di oli mantenuti al punto di fumo per due ore provoca un danno epatico facilmente riscontrabile. Si noti come il processo di formazione dell’acroleina sia a due stadi; qualunque fattore inibisca all’aumentare della temperatura la scissione dei trigliceridi in glicerolo e acidi grassi ritarda il secondo stadio con formazione di acroleina.
Un esempio: la chiarificazione del burro
Ciò che complica il discorso è che il punto di fumo può variare per piccoli dettagli. Per esempio il burro italiano che ha una notevole quantità d’acqua (è infatti meno calorico degli oli) ha un basso punto di fumo (130 °C) perché l’acqua facilita l’idrolisi degli acidi grassi che diventano così liberi. Il burro francese (che invece non contiene acqua) ha un punto di fumo molto più alto (175 °C) e quindi può essere usato per friggere.
Nel caso si usi burro italiano si può chiarificare, eliminando l’acqua e innalzando il suo punto di fumo (che arriva fino a 230 °C e quindi può essere usato per friggere). Per chiarificarlo basta metterlo in un pentolino e farlo sciogliere a bagnomaria per circa 15 minuti, senza farlo bollire. Si formano degli agglomerati di materia bianca (in gran parte caseina) che vanno eliminati filtrando il tutto con un colino a trama fitta. Il burro raffreddato si conserva poi in frigorifero.

Formula di struttura dell’acroleina, la sostanza che appare sotto forma di fumo quando si frigge un olio oltre il suo punto di fumo
Da cosa dipende il punto di fumo
In base a quanto detto, è molto importante conoscere il punto di fumo dell’olio che si va ad usare. È infatti un grave errore scegliere un olio a caso in base a sole considerazioni organolettiche. Purtroppo le informazioni che circolano sono spesso inquinate da interessi commerciali o da errori grossolani (come quelle che parlano di punto di fumo dell’olio di oliva di oltre 300 °C, forse per una banale confusione fra gradi Celsius e gradi Fahrenheit; la formula di conversione è GC=5/9*(GF-32), per esempio 113 °F corrispondono a 45 °C).
Il punto di fumo dipende dal contenuto di acidi grassi liberi. Per esempio, con un contenuto dello 0,04% è di 220 °C, mentre con un contenuto dell’1% è di 160 °C. Poiché la raffinazione (come si vede, anche ciò che è negativo ha dei punti a suo favore!) elimina una buona parte degli acidi grassi liberi,
gli oli non raffinati hanno punti di fumo decisamente più bassi.
Peraltro, gli oli raffinati sono considerati di qualità inferiore perché possono contenere residui della raffinazione. Conviene avere sempre presente la temperatura a cui si lavora e il punto di fumo dell’olio/grasso utilizzato.
- Per dolci e biscotti (di solito si lavora a temperature attorno ai 180 °C) meglio utilizzare burro chiarificato.
- Friggere a oltre 200 °C con olio extravergine d’oliva non è certo il massimo; meglio usare oli raffinati con alto punto di fumo (arachide, mais ecc.).
- Attenzione all’olio di girasole spremuto a freddo (non raffinato) che ha un punto di fumo molto basso, per cui andrebbe usato solo per piatti freddi.

Il punto di fumo di un olio dipende dal contenuto di acidi grassi liberi
Come cambia il punto di fumo
Alcuni fattori possono cambiare nettamente il punto di fumo:
- la miscela di oli diversi
- la presenza di batteri
- la presenza di sale
- la durata del riscaldamento (il punto di fumo si abbassa)
- il numero di volte che l’olio è usato (il punto di fumo si abbassa)
- la conservazione dell’olio (ossigeno, luce, temperatura ecc.)
- dimensione e forma del recipiente di cottura (il punto di fumo si abbassa se la padella di frittura è ampia)
- la presenza di acqua (come nel burro italiano; si ha un abbassamento)
- la presenza di mono e digliceridi (si ha un abbassamento)
- la presenza di acidi grassi liberi (si ha un abbassamento).
Nelle tabelle che seguono sono elencati i punti di fumo degli oli più comuni.
Punti di fumo dei grassi/oli più comuni
Arachide (raffinato) | 230 |
Arachide (non raffinato) | 160 |
Avocado (raffinato) | 270 |
Avocado (non raffinato) | 200 |
Burro | 175 |
Burro (chiarificato) | 230 |
Canapa | 165 |
Canola | 200-230 |
Cartamo | 265 |
Cocco | 175 |
Colza | 225 |
Cotone | 215 |
Girasole (raffinato) | 225 |
Girasole (non raffinato) | 110 |
Lardo | 185 |
Lino | 110 |
Mais (raffinato) | 230 |
Mais (non raffinato) | 160 |
Mandorla | 220 |
Margarina | 150 |
Nocciola | 220 |
Noce (raffinato) | 200 |
Noce (non raffinato) | 160 |
Oliva Extravergine | 165-190 |
Oliva (raffinato) | 220-240 |
Palma | 240 |
Riso | 230-255 |
Sesamo (raffinato) | 210 |
Sesamo (non raffinato) | 175 |
Soia (raffinato) | 230-240 |
Soia (non raffinato) | 160 |
Strutto | 180-210 |
Vinacciolo | 245 |
* L’acroleina è un’aldeide volatile, epatotossica e irritante per tutte le mucose dell’organismo; è nota anche come acrilaldeide o 2-propenale. Oltre che durante il superamento termico del punto di fumo dei grassi e degli oli alimentari, viene prodotta anche durante la combustione delle sigarette e nel corso della fermentazione errata del mosto in ambito vinicolo. L’esposizione continuativa all’acroleina, oltre a essere irritante per le mucose e tossica per il fegato, determina diminuzione della frequenza respiratoria, broncocostrizione e squilibri enzimatici (aumento dei livelli di fosfatasi alcalina e delle transaminasi).