La carne in scatola è uno dei prodotti meno genuini, in quanto in questa categoria abbonda l’uso di conservanti potenzialmente pericolosi. L’ingrediente sospetto delle carni in scatola è, infatti, il nitrito di sodio, conservante principale oltre che della carne, degli insaccati in genere.
Nonostante la praticità (in particolar modo in estate), la carne in scatola è quindi un prodotto da evitare o da consumare sporadicamente, non certo come alimento abituale (è importante distinguere fra nitriti e nitrati e capire come comportarsi di fronte a questi prodotti industriali di dubbia qualità) sfruttando magari la sua ipocaloricità.
Come se non bastasse, per cercare di dare appetibilità al prodotto, molte marche usano il classico esaltatore del sapore, il glutammato monosodico, il cui consumo però andrebbe limitato, soprattutto da coloro che devono abbassare la quota di sodio nella dieta (per approfondire si consulti anche l’articolo La dieta iposodica).
Da qualche tempo sono state introdotte sul mercato carni in scatola esplicitamente senza glutammato e con carni italiane; lodevole passo, ma la presenza dei nitriti non permette ancora di ritenere il prodotto accettabile.
Cosa ne pensa la dieta italiana
Secondo la dieta italiana andrebbe evitato il consumo di carne in scatola contenente nitriti o glutammato di sodio. Prodotti conservati con nitrati e contemporaneamente acido ascorbico, ma senza glutammato sono ammessi per un uso saltuario. L’assenza di etichetta nutrizionale è quindi solo un dettaglio, visto l’uso non frequente di questo tipo di prodotti.

La carne in scatola viene realizzata di solito a partire da bovini in età avanzata, non commercializzabili nel fresco
Il mercato della carne in scatola
Rischio salutistico della categoria: molto alto.
Le principali marche di carne in scatola si contendono il mercato italiano essenzialmente con una martellante pubblicità: se si confrontano gli ingredienti si scopre, infatti, che questi sono pressoché identici (brodo vegetale con non precisati aromi e/o spezie o ortaggi), miele, marsala, sale. L’addensante usato è generalmente sempre lo stesso, la farina di semi di carrube, il gelificante è l’agar agar, ottenuto da alghe marine. Per quanto riguarda la carne bovina impiegata, la provenienza dei capi è in quasi tutti i casi dichiarata e/o tracciabile.
Anche la percentuale di carne sull’intero prodotto è, in tutte le ricette, praticamente equivalente (intorno al 40%). Quasi tutti i prodotti contengono nitrati (senza il protettivo acido ascorbico) e soprattutto nitriti e, in alcuni casi, anche glutammato di sodio. Patetico è poi il tentativo di nascondere questi gravi difetti con il pregio nutrizionistico che la carne in scatola è povera di grassi (si va dall’1 al 2%)…
Nessun pregio hanno anche i tentativi di valorizzare la carne, decisamente penalizzata dalla presenza di conservanti. Accanto alla proposta “storica” della carne bovina, sono comparsi sul mercato anche alcuni prodotti a base di pollo.