Il NADH (nicotinamideadenindinucleotide, scritto anche nicotinammide adenina dinucleotide) è un coenzima (è noto anche come coenzima 1) che interviene nel ciclo di produzione aerobica dell’energia (catena di trasporto degli elettroni e fosforilazione ossidativa).
Il coenzima esiste in due forme, una ossidata (NAD, più correttamente NAD+) e l’altra ridotta (NADH, ha accettato un elettrone; più correttamente NADH+H+; in alcuni casi la si indica con la sigla NADH2); è presente in tutte le cellule con funzione di trasportatore degli elettroni.
Il NADH è stato scoperto nel 1904 da Harden e Young, in una miscela di composti ottenuta da estratti deproteinizzati di lievito, fu successivamente isolato nel 1936 da von Euler, Walburg e Christian.
Il NAD ha un ruolo essenziale in moltissime reazioni chimiche, fra le quali vanno ricordate alcune tappe della glicolisi* (la scissione del glucosio) e del ciclo di Krebs (un ciclo metabolico che è di fondamentale importanza in tutte le cellule che utilizzano ossigeno nel processo di respirazione cellulare).
NADH e integrazione: il trucco della sostanza fondamentale
Il NADH è un integratore che, sfortunatamente, è ancora piuttosto gettonato; prima di spiegare il perché dell’uso dell’avverbio sfortunatamente, una premessa.
Il NAD e il NAD fosfato costituiscono le due forme attive della niacina (nota anche come vitamina B3, vitamina PP o vitamina antipellagra –la sigla PP sta per Pellagra Preventing); sia la vitamina PP che il NAD sono presenti in natura in diversi alimenti (carni rosse, fegato, frutta secca, legumi, pesce, pollame ecc.) e un’alimentazione equilibrata assicura un giusto apporto di questi micronutrienti (la pellagra è una patologia che nei tempi passati colpiva soprattutto coloro che si nutrivano prevalentemente di mais; adesso si verifica soltanto in casi particolari quali denutrizione o alcolismo cronico).
Come detto, il NADH interviene in vari processi metabolici fra cui il ciclo di produzione aerobica dell’energia; è proprio su questo presupposto che si basano le raccomandazioni relative all’integrazione alimentare con NADH (in soldoni: più NADH, maggiore energia!); dal momento che il NADH è anche una sostanza antiossidante, un’integrazione porterebbe a notevoli benefici come, tanto per fare alcuni esempi, rafforzamento del sistema immunitario, protezione dai danni cellulari prodotti da radicali liberi e via discorrendo; dal momento che varie malattie degenerative sono legate ad alterazioni cellulari, si arriva alla frettolosa conclusione che se integriamo con NADH, si riducono i rischi di contrarre pericolose malattie. In realtà le cose non stanno proprio cosi… E ora passiamo a spiegare lo sfortunatamente.
Il NADH, infatti, è il classico esempio di come una sostanza potenzialmente utile come farmaco (cioè per soggetti malati) venga proposto a tutti come integratore, con l’illogica deduzione “se fa bene a un soggetto malato, figuriamoci a uno sano”.

Il NADH può veramente combattere la fatica e la depressione, debellare la stanchezza di una persona sana, proteggere dal rischio di malattie degenerative o migliorare la prestazione di un atleta?
NADH: può servire l’integrazione?
Ma l’integrazione con questo coenzima è veramente interessante? Può veramente combattere la fatica e la depressione, debellare la stanchezza di una persona sana, proteggere dal rischio di malattie degenerative o migliorare la prestazione di un atleta?
La risposta è purtroppo: no. I motivi sono sostanzialmente due:
- nella produzione di energia entrano in gioco un centinaio di sostanze principali.
- Le quantità coinvolte spesso sono decisamente superiori a quelle offerte (per motivi di costo) dall’integrazione.
È abbastanza facile creare un prodotto partendo da una qualunque di queste sostanze e poi costruire una campagna pubblicitaria sul concetto. Esempio: “Speedy è una sostanza naturale che interviene nella produzione di energia ed è quindi fondamentale per il mantenimento del benessere. Innumerevoli studi clinici ecc. ecc.”
Speedy è una delle decine di sostanze (principali) coinvolte nei processi energetici, per esempio il coenzima Q10 (già sfruttato), la creatina (nel meccanismo CP, già sfruttata), la niacina (già sfruttata, è la vitamina B3).
Un altro importante coenzima è il FAD (flavin adenin dinucleotide, che si origina dalla riboflavina, la vitamina B2). Insomma chi vuole lanciare un prodotto cosa fa?
- Studia i trasferimenti energetici dell’organismo.
- Identifica una sostanza (anche i carboidrati andavano bene quando si è partiti con questa filosofia: oggi ci vogliono nomi e sostanze sempre più sofisticate) che può essere somministrata come integratore e che partecipa ai processi energetici.
- Trova ricerche scientifiche che coinvolgono positivamente questa sostanza.
- Confeziona la campagna pubblicitaria.
Praticamente l’approccio poi non funziona perché:
- i processi energetici sono come una sinfonia suonata da un’orchestra: cambiare un orchestrale (e sono centinaia), anche se importante (per esempio, il primo violino), non modifica più di tanto la qualità dell’orchestra. Se è un’orchestra di serie C è inutile inserire un orchestrale di serie A, la cui bravura e talento sono tarpati dalle inefficienze dei compagni. Nel caso del NADH basta ricordare che gli elettroni trasportati da questo coenzima sono passati in enormi quantità al coenzima Q: già sapendo questo, tutti capiscono che se manca il coenzima Q è inutile avere vagonate di NADH. L’approccio fuorviante delle campagne pubblicitarie è proprio questo: si vuol far credere che i processi energetici dipendano da una sola sostanza e non si ha il coraggio di dire che in realtà dipendono da decine di sostanze TUTTE importanti e fondamentali e che nessuna può sostituirsi a quelle che mancano.
- I risultati della ricerca scientifica devono essere attentamente considerati. Molto spesso si usano nella ricerca quantità che poi nell’integrazione non sono sostenibili per problemi di costo. Si legga l’articolo sui limiti della ricerca.
Ritornando alla campagna sul NADH, vediamo in dettaglio cosa non va.
- Il NADH viene presentato come una nuova scoperta. In realtà ciò che c’è di nuovo è il brevetto della procedura che ottiene una forma stabilizzata della sostanza.
- Si vuol far credere che più NADH si ha a disposizione più la cellula è in grado di produrre energia. Se ciò fosse vero, anziché 5 mg di NADH, basterebbe prenderne 50 mg e si avrebbe l’energia decuplicata.
- Si fa riferimento a studi clinici senza quantificare i risultati. Rimando sempre all’articolo sui limiti della ricerca.
- Si cita l’azione positiva sulla depressione. Non auguro a chi afferma una cosa del genere di essere depresso o di avere vicino a sé persone che soffrono realmente di depressione (per poi provare a curarsi o a curare con il NADH). La ricerca scientifica è ancora abbastanza impotente di fronte a questa malattia ed è triste illudere le persone che ne soffrono di migliorare la loro situazione prendendo un energetico.
- Anche altre affermazioni, come il rafforzamento del sistema immunitario, fanno parte di ricerche cliniche i cui risultati sono stati amplificati, una volta fuori dall’ambito scientifico per motivi commerciali. A tale proposito, nel paragrafo successivo, ricordo l’aneddoto dell’oncologo.
L’aneddoto dell’oncologo
Anni fa un mio amico oncologo mi si presentò raggiante: finalmente la sua ricerca aveva dato buoni frutti e gli avrebbero pubblicato su una prestigiosa rivista un articolo riguardante un suo protocollo anticancro che “rallentava la malattia”. Era talmente euforico che mi mostrò un grafico e me lo commentò: “Vedi, prima del mio protocollo la vita media dei pazienti terminali del mio reparto era di 18 giorni, dopo era di BEN 32 giorni!”.
Morale: un “commerciale” o un “giornalista” avrebbero titolato “Scoperta nuova cura che rallenta il cancro!”.
* Durante la quinta tappa della glicolisi (nota come isomerizzazione del diidrossiacetone fosfato in gliceraldeide 3-fosfato) il NAD+ lega a sé due elettroni da parte della gliceraldeide fosfato; tale acquisizione trasforma il NAD+ in NADH; quest’ultimo verrà poi riconvertito in NAD+ tramite la cessione di elettroni e del protone al piruvato che diventerà poi acido lattico.