La qualità dei cibi può essere valutata anche in base al marchio di qualità. Sigle come D.O.C. o I.G.P. richiamano un lavoro di classificazione dei prodotti in base a fattori che sono condizioni facilitanti (non comunque sufficienti!) per una valutazione positiva del prodotto. Vediamo pertanto cosa significano. I marchi sono tutti acronimi e andrebbero scritti con il punto dopo ogni singola lettera, ma è ormai consuetudine tralasciare il punto.
Sigle simili a quelle italiane sono usate anche in altri Paesi, per esempio in Francia l’AOP (Appelation d’Origine Protégée) corrisponde all’italiana DOP. Come si vede, un singolo Paese della UE può usare una sigla derivata dalla propria lingua. DOP in Danimarca è BOB, in Polonia è CNP ecc.
DOP – Denominazione di origine protetta. Sono più di 500 i prodotti alimentari italiani che vantano questo marchio di qualità. La sigla è attribuita solo a un bene alimentare che è prodotto e lavorato in aree geografiche precise secondo un determinato disciplinare di produzione. Esempi: grana padano, parmigiano reggiano, prosciutto di Parma e mozzarella di bufala campana.

Il parmigiano reggiano è un prodotto D.O.P.
DOC – Denominazione di origine controllata. La sigla più conosciuta, per un marchio di qualità risalente agli anni ’60 del secolo scorso. Era soprattutto usata per vini di qualità prodotti in aree geografiche piccole o medie, con caratteristiche tipiche del vitigno, dell’ambiente e dei metodi di produzione. Non è più “ufficiale” dal 2010 in quanto la UE l’ha compresa nella sigla DOP, ma è ancora usata.
DOCG – Denominazione di Origine Controllata e Garantita. Come la sigla DOC è stata inglobata nella sigla DOP, ma è usata per prodotti DOC di particolare pregio da almeno dieci anni (vedasi Brunello di Montalcino).
IGP – Indicazione di Origine Protetta. Riconosciuta a livello europeo. La sigla è fuorviante perché i beni possono essere sì prodotti in un’area geografica, ma possono esservi semplicemente trasformati o elaborati, con una procedura specifica, ma con materie prime provenienti da altra zona, persino dall’estero. Un caso classico è la bresaola della Valtellina che può essere prodotta lavorando anche carni estere.
IGT – Indicazione Geografica Tipica. Marchio di qualità usato per i vini fino al 2010 (il vino doveva essere prodotto con almeno l’85% di uve provenienti dall’area geografica), oggi è compresa nel marchio IGP.
STG – Specialità Tradizionale Garantita. Sigla europea che non si riferisce all’origine del prodotto, ma a caratteristiche che per tradizione e qualità si distinguono da altri simili. In Italia solo la mozzarella e la pizza napoletana possono fregiarsi di questo marchio di qualità, potendo comunque essere prodotte (con le stesse caratteristiche) anche in Paesi molto distanti dal nostro.

I quattro marchi di qualità riconosciuti dall’Unione Europea
PAT – Prodotto Agroalimentare Tradizionale. Un marchio di qualità usato solo in Italia, assegnato dalle Regioni. Indica prodotti tradizionali, in genere di nicchia, con una diffusione così ridotta da non poter ambire ai marchi DOP e IGP. Esempi sono il sanguinaccio lucano e il prosciutto di pecora sardo.
BIO – Il marchio di qualità europeo è riferito a prodotti con almeno il 95% di ingredienti agricoli coltivati con metodi biologici e conformi al sistema di controllo e certificazione nazionale. Dal 2012 il marchio BIO può essere usato anche per il vino.