L’irradiazione alimentare (nota anche come irraggiamento dei cibi) è un metodo di trattamento dei cibi il cui scopo principale è quello di aumentare la sicurezza e la qualità igienica degli alimenti.
L’irradiazione alimentare consiste nel sottoporre determinati alimenti a radiazioni ionizzanti (raggi X, raggi gamma) o a fasci di elettroni per sterilizzare gli alimenti eliminando quei microrganismi patogeni che sono insensibili o comunque poco sensibili alla temperatura (metodo classico di sterilizzazione); scopo secondario dell’irradiazione alimentare è quello impedire rallentare il processo di maturazione di frutta e verdura allo scopo di allungarne i tempi di conservazione.
Di fatto, l’irradiazione alimentare serve a:
- ridurre la carica microbica negli alimenti diminuendo i rischi sanitari che sono associati a determinati prodotti per la presenza di microrganismi patogeni (per esempio Escherichia coli e Campylobacter);
- aumentare la durata di conservazione dei prodotti alimentari;
- prevenire la germinazione di agli, cipolle e patate.
L’irradiazione alimentare non è concepita come metodo sostitutivo delle misure igieniche preventive, quanto piuttosto come metodologia di decontaminazione.
L’irraggiamento dei cibi non è un procedimento nuovo; il suo primo utilizzo, avvenuto negli USA, risale infatti all’anno 1943 (sterilizzazione degli hamburger); in seguito, la tecnica è sbarcata anche nei Paesi europei, ma la sua diffusione è stata sempre frenata dalla preoccupazione salutistica delle conseguenze che le radiazioni possono produrre sui cibi; negli Stati Uniti sono moltissimi i cibi per i quali è permesso l’utilizzo di questa tecnologia; in Europa la situazione è diversa e peraltro cambia da Paese a Paese.
In Italia, l’irraggiamento dei cibi è disciplinato da un decreto legislativo emanato nel 2001 (il n. 94); tale decreto attua due direttive comunitarie, la direttiva 1992/2/CE e la direttiva 1999/3/CE.
La normativa copre vari aspetti: produzione, commercializzazione nonché importazione degli alimenti e loro ingredienti sottoposti a irradiazione; vengono inoltre disciplinati gli aspetti tecnici, i prodotti ammessi alla procedura di irraggiamento e l’autorizzazione sanitaria agli impianti che effettuano il trattamento di irradiazione.
Attualmente, in Italia, esiste un solo impianto, localizzato in Emilia Romagna, autorizzato a effettuare l’irradiazione alimentare.
Nel nostro Paese l’uso dell’irradiazione è previsto come procedura antigermoglio per agli, cipolle e patate, mentre in altri Paesi europei (fra cui Belgio, Francia, Olanda, Polonia e Regno Unito), l’uso dell’irradiazione alimentare è più esteso.
Le confezioni dei prodotti trattati, anche nel caso in cui siano presenti come semplici ingredienti, devono riportare la dicitura “Irradiato” oppure la dicitura “Trattato con radiazioni ionizzanti”.

Il logo “Radura” che indica i cibi trattati con radiazioni ionizzanti
Irradiazione alimentare: un metodo sicuro?
A livello mondiale le norme che regolamentano l’irradiazione alimentare sono stabilite dalla Codex Alimentarius (una commissione nata dalla collaborazione tra FAO e OMS) e da altre autorità di controllo.
Attualmente, a livello globale, sono più di 40 i Paesi che hanno approvato l’irradiazione alimentare per più di 60 prodotti alimentari.
Un’adozione più ampia di questa metodica, peraltro attentamente studiata, è frenata, soprattutto in Europa, dai molti pregiudizi che ancora permangono, questo anche se, secondo quanto emerso dagli studi effettuati congiuntamente da FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura), AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) e OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), “l’irraggiamento di qualsiasi alimento fino a una dose massima di 10 kGy (chilogray, unità di misura assorbita; un Gray equivale a 100 rad del vecchio sistema di misura) è ritenuto sicuro“.
Insomma, in altri termini: il cibo irradiato non diventa minimamente radioattivo. L’effetto della radiazione cessa cioè nel momento in cui si blocca la sorgente di radiazioni (come nel caso della cottura a microonde), mentre un cibo radioattivo sarebbe a sua volta fonte di radiazioni.
Irradiazione alimentare: le tecniche
Vediamo brevemente le varie tecniche di irraggiamento.
Raggi gamma – I raggi provengono da isotopi del cobalto o del cesio, sorgenti radioattive dalla vita media piuttosto lunga. Il vantaggio è che i raggi gamma penetrano in profondità, consentendo il trattamento di alimenti già confezionati.
Fascio di elettroni – Si tratta di raggi beta provenienti da un cannone elettronico. I raggi beta sono poco penetranti (pochi centimetri), ma hanno il vantaggio di non richiedere complesse procedure di conservazione della sorgente radioattiva perché quando il cannone viene spento non c’è più emissione di radiazione (a differenza di quanto avviene con gli isotopi radioattivi che devono essere attentamente conservati).
Raggi X – La tecnologia a raggi X è la più recente e combina i vantaggi delle due precedenti tecnologie: penetrazione in profondità e spegnimento della sorgente radioattiva.
Dosi utilizzate – Più la forma vivente è evoluta e più è sensibile alle radiazioni. La dose letale per l’uomo è di 4 Gray, insetti e parassiti si uccidono con 100 Gray, i batteri patogeni con dosi da 1.500 a 4.500 Gray, i virus e le spore con 10-45.000 Gray.
La dose necessaria per il trattamento di un alimento varia anche a seconda della temperatura (maggiore se il cibo è congelato) e viene definita D-dose la quantità di radiazione necessaria per distruggere il 90% dei microrganismi.
Per distruggere i principali agenti patogeni (Salmonella, Escherichia, Campylobacter, Toxoplasma ecc.) si applicano dosi inferiori al kGray.
In genere il gusto dell’alimento (le carni grasse sono quelle più sensibili) non è modificato fino a dosi di 7,5 kGy.