Di antiossidanti si sente parlare spesso, quasi quotidianamente e in diversi ambiti: alimentazione, salute, sport ecc. Purtroppo, come di sovente accade, l’argomento è trattato quasi sempre con molta superficialità. In realtà, la questione antiossidanti è molto complessa e scopo di questo articolo è chiarire i punti più oscuri.
Cosa sono gli antiossidanti?
Gli antiossidanti sono agenti chimici (molecole, ioni, radicali) o fisici che rallentano o prevengono l’ossidazione di determinate sostanze (ricordiamo che l”ossidazione è una reazione chimica che trasferisce elettroni da una sostanza a un ossidante). L’ossidazione produce radicali liberi che, mediante una reazione a catena, danneggiano le cellule; quindi in teoria gli antiossidanti sono una valida barriera contro gli effetti dei radicali liberi.
La domanda fondamentale da porsi affrontando il tema degli antiossidanti e degli antiradicali liberi è pertanto:
come possiamo eliminare l’eccesso di radicali liberi che il nostro corpo non riesce a smaltire?
Ormai sono migliaia le sostanze che vengono definite antiradicali liberi, ma, come vedremo, solo pochissime funzionano. Purtroppo il termine antiossidanti è decisamente vago, tant’è che qualche anno fa, per l’esattezza nel 2012, una ricerca ha mostrato che alcuni antiossidanti danneggiano il DNA. Panico totale e demonizzazione della parola antiossidanti. Se però si va a leggere la ricerca (comunque da prendere con le molle, vedasi Ricerca scientifica), gli antiossidanti incriminati sono 22 (su 4.000!) e fra essi solo il resveratrolo (quello contenuto nel vino) è usualmente reperibile, gli altri sono usati solo in farmacologia.
Sempre nel 2012 il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA, un’autorità in materia di scienza dell’alimentazione) ha ritirato le sue tabelle relative all’ORAC (l’unità di misura delle capacità antiossidanti) perché “non ci sono prove scientifiche dell’azione antiossidante delle varie sostanze all’interno delle cellule” (per cui se sentite un nutrizionista che vi dice che bisogna mangiare tanta frutta e tanta verdura per il loro potere antiossidante sappiate che non è aggiornato!).
Premesso che l’invecchiamento non dipende dai soli radicali liberi, l’impiego di antiossidanti sia sotto forma di alimenti sia sotto forma di integratori va incontro ad alcuni problemi (fallimento quantitativo, fallimento biologico e fallimento terapeutico) che sono oggetto di questo articolo. Sinteticamente, avere un’alimentazione che tenga conto di una buona quota di antiossidanti è sicuramente positivo, ma bisogna evitare di eccedere in ottimismo (come fa chi vorrebbe una drastica riduzione della probabilità di contrarre un tumore a seguito di una strategia che preveda assunzioni di sostanze antiossidanti).
Cibi e integratori antiossidanti
Per queste due categorie di antiossidanti si può parlare di fallimento quantitativo.
Frutta e verdura – È il caso dell’assunzione di frutta e verdura, perorato da molti nutrizionisti. È decisamente ottimistico sperare che sia una mossa valida (certo la frutta non fa male, anzi! Ma non basta). Già la semplice intelligenza ci dice che, pur mangiando tanta frutta e verdura, si invecchia comunque (per i dettagli si consulti l’articolo sull’integrazione vitaminica), ma è ormai chiaro che le capacità antiossidanti in vitro (in parole povere, in provetta) non è automaticamente replicabile in vivo, cioè all’interno delle cellule (se lo fosse, comunque la semplice vitamina C sarebbe 100 volte più potente dei vari alimenti che la contengono). Anzi, in vivo sono state dimostrate solo le capacità antiossidanti di tre vitamine: vitamina A, vitamina C, e vitamina E.
Integratori – Il fallimento quantitativo riguarda anche moltissime sostanze vendute come integratori. Il meccanismo è questo: la sostanza X interviene nella lotta ai radicali liberi (in vitro!), assumi la sostanza X e sei protetto! Il problema è che la sostanza X costa parecchio e per poterla commercializzare con buon business viene venduta in quantità assolutamente insignificanti. Un esempio è l’acido lipoico (acido alfalipoico o tioctico). Ricerche ormai consolidate (Saengsirisuwan et al., 2004; Malarkodi et al., 2004) suggeriscono un dosaggio di 35 mg/kg di peso. Cioè un soggetto di 70 kg dovrebbe assumerne circa 2,5 g; in realtà per motivi commerciali si consigliano dosi di 600 mg. Considerando che 10 g di acido lipoico costano circa 50-60 euro, un’integrazione mirata (diciamo 2 g al giorno) costerebbe circa 300 euro al mese. Con un’integrazione più soft (0,66 g, un terzo) si avrebbero comunque dei risultati o si butterebbero via 30 euro al mese? Su questo punto si potrebbe discutere per giorni.
Un altro esempio di fallimento quantitativo di integratori antiossidanti è rappresentato dai polifenoli, dai bioflavonoidi e dalle antocianine. È noto il fallimento del tè verde come antitumorale. Un caso classico è il resveratrolo, contenuto nell’uva nera e osannato dai produttori di vino come grande antitumorale perché nemico dei radicali liberi. Affinché il resveratrolo possa avere effetto, deve avere una concentrazione nel sangue consigliata di almeno 10 mg/l (Yu et al., 2003). In altri termini, devono circolarne nel nostro corpo circa 50 mg.
La buccia dell’acino di uva rossa contiene circa 50-100 microgrammi di resveratrolo/grammo di peso secco e la sua concentrazione nel vino rosso è dell’ordine di 0,3-0,5 mg/l. In altri termini dovremmo bere circa 20 litri di vino al giorno (ammesso che il resveratrolo abbia una vita media di ben 24 ore!) per avere una protezione pari a quella che si ha nelle ricerche che lo hanno promosso. Si capisce come una dose di 1,5 l (già disastrosa per i danni epatici che provoca) sia dieci volte inferiore a una dose terapeutica. Che cosa può fare? Chi ridurrebbe a 1/10 la quantità ottimale di un farmaco, sperando che faccia comunque effetto?

Gli antiossidanti possono contrastare l’azione dei radicali liberi, ma non si deve eccedere in ottimismo
Notate che tali numeri giustificano certe statistiche datate che promuovevano il vino rosso fra le sostanze antiossidanti. Infatti, prima si beveva molto di più: ciò consentiva da un lato un maggior effetto del resveratrolo e dall’altro una scarsa incidenza delle patologie cardiovascolari perché i danni epatici e nervosi da alcol erano una causa di morte che “preveniva” la morte per infarto.
Fallimento biologico
Se è vero che il resveratrolo non è assumibile in quantità apprezzabili dal vino, è pur vero che gli integratori che lo contengono sono correttamente dosati con posologia di 30-50 mg al giorno (non c’è cioè il problema del costo del prodotto come per l’acido lipoico). Purtroppo occorre considerare che quando assumiamo oralmente (per bocca) un integratore non è detto che l’intera quantità sia assorbita. Infatti nelle ricerche su animali e/o su umani le sostanze vengono iniettate, sia per maggior precisione nella posologia sia per evitare, appunto, problemi di assorbimento. L’esempio classico è quello del ferro, dove per avere una dose biodisponibile di 25 mg è spesso necessario somministrare per via orale quantità dieci volte superiori. È anche il caso del già citato resveratrolo, la cui dose orale “efficace” è stabilita in 500 mg, circa 8-10 volte superiore a quella che poi effettivamente circolerà nel sangue dell’individuo. Ciò fa salire ulteriormente il costo dell’integrazione.
Bisogna sottolineare come la biodisponibilità di una sostanza spesso dipenda dalla forma chimica nella quale essa viene assunta: alcuni composti del magnesio sono nettamente più assorbibili di altri, così come per esempio la vitamina E sintetica ha i 2/3 di attività di quella naturale. Diverso e curioso è il comportamento dell’acido folico, la cui assunzione sintetica è migliore di quella naturale.
Il problema dell’assorbimento non è certo l’unico legato al fallimento biologico dell’integrazione con sostanze antiossidanti (e non solo). Un altro problema è quello della vita media della sostanza all’interno del nostro corpo. In alcuni casi è necessario abbondare con una somministrazione perché l’emivita della sostanza (cioè il tempo in cui la concentrazione della stessa si dimezza) è talmente breve da portare quantità scarse a essere praticamente inefficaci. Ma c’è di peggio. Se leggete la parte finale dell’articolo sul glutatione, scoprirete che gli integratori di questa sostanza sono completamente inutili.
Fallimento terapeutico
Altri antiossidanti sono sostanze molto semplici (selenio, rame, zinco) oppure non particolarmente complesse (come il betacarotene). Questi antiossidanti sono spesso proposti in maniera ottimistica, visto che in genere sono molto economici e si possono ottenere le dosi realmente efficaci a costi accettabili. Il vero problema è che quanto più una sostanza è semplice tanto più il nostro organismo la gestisce in modo diversificato e tende a utilizzarla in molti processi (si pensi all’acqua!). Ciò comporta che, “esagerando”, si vadano a toccare molti equilibri e la sostanza, da utile che era, finisce per diventare tossica.
Per esempio, l’utilissimo rame ha una dose consigliata di 1,5-3 mg al giorno. Ebbene, in molti individui un’assunzione prolungata di 3 mg al giorno produce un sovraffaticamento epatico e una dose di 10 mg (qualche settimana) produce stanchezza e nausea. Lo stesso per il selenio (che entra a far parte della glutation-perossidasi) dove la dose ritenuta tossica è di sole 5 volte superiore (350 contro 50 microgrammi per un soggetto di 70 kg). In definitiva, per queste sostanze esistono tre tipi di problemi:
- controindicazioni evidenti se si supera una soglia di assunzione, soglia che non è poi molto lontana dalla dose giornaliera consigliata che si raggiunge facilmente con l’alimentazione.
- Posizione ottimistica di chi pensa che fornendo un solo elemento (per esempio il selenio) si possa attivare tutto un meccanismo che coinvolge decine di sostanze.
- Competizione fra le stesse sostanze antiossidanti (per esempio rame, ferro e zinco competono a livello intestinale con la stessa molecola trasportatrice che ne realizza l’assorbimento: si integra con zinco e si diventa carenti di ferro e di rame).
Antiossidanti: la soluzione
Chi vuole preparare un piano di integrazione con sostanze antiossidanti deve aver presente che:
- funziona solo sul lungo periodo (come detto più volte, il risparmio dopo i 35 anni è di circa un terzo).
- Deve essere economicamente sostenibile.
- Deve essere continuo.
Infatti, non ha senso fare cicli di antiossidanti per 2-3 mesi all’anno perché i radicali liberi si producono tutto l’anno! In pratica è necessario cioè che esistano sostanze di base che vengono sempre assunte e sostanze che possono essere aggiunte in particolari periodi dell’anno (per esempio di surplus sportivo). Tali sostanze di solito sono le più costose, mentre quelle di base sono le più economiche.
Nelle nostre schede antietà si esamina un piano di integrazione.