Moltissimi integratori alimentari non funzionano (e questo vale anche per alcuni farmaci), soprattutto quelli che dovrebbero risolvere piccole patologie o lievi carenze.
Nonostante la martellante pubblicità, ormai chi crede ancora ciecamente nella potenza degli integratori (sia per lo sport sia per la vita normale) è simile alla massaia che 20-30 anni fa credeva alla potenza del prodotto per lavare i pavimenti perché vedeva in televisione la sua collega che puliva senza fatica un pavimento sporcato ad hoc con un bel centimetro di polvere e schifezze varie. Proviamo a spiegarci meglio ricorrendo al paradosso dell’aspirante campione.
Il paradosso dell’aspirante campione
È abbastanza facile trovare a livello giovanile un atleta in grado a 18 anni di correre i 1000 m in 2’40” senza che questi abbia mai fatto uso di integrazione alimentare o di supporti per il miglioramento della prestazione.
A questo punto, considerando tutti gli articoli trovati in letteratura, il ragazzo può ragionare così: con gli aminoacidi a catena ramificata guadagno 3″, con la creatina 5″, con l’inosina 1″, con la carnitina 3″, con il bicarbonato 2″, con l’OKG o la glutammina 2″, con il ginseng 2″, con la pappa reale 1″, con l’integrazione vitaminica corretta 3″, con gli antiossidanti, i minerali e il coenzima Q10 4″: in totale in un mese d’integrazione si guadagnano 26″, cioè scendo a 2’14”. Considerando i benefici dell’elettrostimolazione e del potenziamento muscolare, il cambio d’allenatore e di allenamenti (un allenatore nazionale deve pur valere di più rispetto al mio professore di educazione fisica…), l’ultimo modello di scarpe chiodate ecc. guadagno ancora almeno 10″. Crescendo e maturando dovrei guadagnare in un anno almeno 4″: è ormai certo che l’anno prossimo correrò i mille metri in meno di due minuti, abbattendo di oltre dieci secondi il record del mondo!
La cosa vale anche per tutti quegli integratori orientati a persone “normali”: dalle vitamine che con dosi ridicole dovrebbero contrastare l’invecchiamento, al ginkgo biloba che dovrebbe preservare la lucidità mentale (una recente ricerca lo considera poco più dell’acqua fresca), agli integratori per alzare il tono della vita (come se la depressione anche lieve fosse una robetta che si può curare con la pastiglia che si trova al supermercato) ecc.
Perché prodotti che in teoria dovrebbero funzionare (per molti di loro ci sono studi scientifici che ne esaltano le qualità) in realtà non producono gli effetti sperati?
Rimandando all’articolo corrispondente sul quando gli integratori funzionano, vediamo invece gli errori (in malafede oppure no, dipende dai casi) più comuni a base del loro fallimento.
Tutti conoscono il significato della parola sovradosaggio: l’ingestione di una sostanza in quantità maggiori rispetto a quelle raccomandate o generalmente prescritte.
Qualunque sostanza può causare effetti collaterali negativi, se assunta in quantità eccessive. Tali effetti possono essere semplicemente fastidiosi oppure gravissimi, arrivando anche alla morte. Si pensi all’acqua. Se durante una maratona l’atleta beve in maniera esagerata (magari per la paura di bere troppo poco!), l’eccessiva diluizione del sodio nel sangue (inferiore a 130 mmol/l) porta alla iponatriemia, condizione che può condurre alla morte del soggetto.
Purtroppo è abbastanza comune ritenere che il sovradosaggio riguardi solo i farmaci e che gli integratori ne siano immuni; sfortunatamente invece sono molti gli integratori il cui sovradosaggio può dare gravi effetti collaterali.
A mo’ di esempio, in questo paragrafo riportiamo solo due casi riguardanti sostanze molto comuni, la vitamina A e il ferro.
I primi casi di ipervitaminosi A citati in letteratura riguardano le popolazioni dell’Artico (e i primi esploratori) che andavano incontro a sovradosaggio per il consumo di fegato di orso polare o di foca, ricchissimi di vitamina A, 15.000 UI per grammo. Il sovradosaggio provoca problemi al fegato, fenomeni depressivi fino al suicidio e altri problemi nervosi, danni alle ossa e alle articolazioni e al feto, in gravidanza); l’intossicazione acuta di vitamina A si ha solo con dosi enormi (2 milioni di UI), mentre più subdola è l’intossicazione cronica, sicuramente presente in soggetti che assumono 20.000 UI al giorno per periodi che vanno da 6 a 8 anni (Geubel, 1991), una quantità che per esempio è presente in farmaci per la cura dell’acne (per esempio, l’isotretinoina) e che è avvicinata in multivitaminici non troppo attenti al problema.
Nel caso del ferro, molti sono gli esempi di atleti che per scongiurare il pericolo di un’anemia (peraltro l’anemia non necessariamente è sideropenica, cioè da carenza di ferro) hanno assunto per anni un’integrazione di ferro; il risultato è stato l’accumulo di ferro nel fegato (emocromatosi) con gravi danni epatici.
L’errore di dosaggio non riguarda solo l’assunzione eccessiva di un integratore, ma anche quella non sufficiente a ottenere qualche effetto positivo (sottodosaggio). Il sottodosaggio non è quasi mai una conseguenza di una scelta errata del soggetto, ma è piuttosto una conseguenza della politica del fornitore. Tre sono le strade che portano al sottodosaggio.
La prima è l’esagerazione del risultato. Si ha quando i risultati delle ricerche scientifiche vengono trasmessi solo qualitativamente; per uno scienziato prolungare la vita di un malato terminale di cancro in media di 15 giorni può essere un grande successo, per tutti noi non è che cambi granché. Con gli integratori il passaparola dal lavoro scientifico alla vita di tutti i giorni porta a dimenticare il risultato quantitativo e ciò che migliora di pochissimo (un risultato scientificamente comunque interessante) diventa la soluzione per diventare campioni o per avere una salute di ferro. Un esempio classico sono tutti gli integratori che dovrebbero migliorare la circolazione per risolvere il problema delle “gambe pesanti”.
Per cui chiedersi sempre: sì fa bene, ma quanto fa bene e che dose devo prenderne perché sia veramente efficace? L’errore di quantità è spesso utilizzato per promuovere integratori del tutto inutili perché in dosi bassissime. D’altro canto, dosi accettabili costerebbero troppo o sarebbero ingestibili perché magari con effetti collaterali importanti. C’è chi prende integratori “naturali” a base di vitamina C per 50 mg al giorno, il contenuto di un’arancia, illudendosi di conquistarsi la salute perenne. Stessa situazione per molti integratori poco conosciuti, in cui le “dosi consigliate” sono comunque inutili.
La seconda è l’integrazione non sostenibile. Quando un integratore è molto costoso, la sua assunzione può essere economicamente al di fuori della portata dei più. Il produttore tende quindi a “consigliare” dosi inferiori per rendere economicamente fattibile l’impiego del suo prodotto; ovviamente dosi inferiori significano benefici inferiori, se non nulli.
La terza strada è il timore del sovradosaggio. Il produttore offre un integratore che sicuramente non fa male perché è molto lontano dalla soglia di sovradosaggio; anche in questo caso, il sottodosaggio rende inutile l’integrazione.
Il consiglio finale è:
se assumete un integratore alimentare, informatevi sul dosaggio corretto, sia per evitare il sovradosaggio sia per avere benefici reali.
L’errore di saturazione si ha quando l’organismo reagisce alla sostanza introdotta
- o espellendola
- o assuefacendosi.
Il nostro corpo sa badare a sé stesso e attua tutta una serie di meccanismi per cui una sostanza produce benefici fino a un certo punto, poi la quantità in eccesso viene eliminata senza ricavarne alcun beneficio oppure è necessario assumerne quantità sempre maggiori.
Il primo caso si ha per esempio nel caso di molte vitamine idrosolubili: quante più ne vengono assunte tanto più vengono eliminate per via renale.
Il secondo caso è tipico delle droghe, ma anche di sostanze molto comuni: un forte bevitore di caffè può probabilmente berne una tazzina prima di andare a letto senza avere inconvenienti; una persona che non beve caffè probabilmente non dormirà o avrà grosse difficoltà ad addormentarsi.
Un esempio dell’effetto saturazione è la carnitina. In ragione di qualche grammo al giorno (anche 10) può essere utile ai cardiopatici, ma è stato ormai provato che in individui normali non migliora assolutamente la prestazione perché di fatto un soggetto sano non “sa” usare il surplus che gli viene fornito.
Un’integrazione corretta dovrebbe avere alla base la dose (più) efficiente. Per capire questo concetto si pensi al lavoro. Se ha senso lavorare un’ora al giorno per 1.000 euro al mese, potrebbe aver senso lavorare due ore per 1.500 euro o tre ore per 2.000 euro, ma nessuno lavorerebbe quattro ore per 2.005 euro mensili: meglio lavorare solo tre ore! Analogamente, la dose efficiente di un integratore è quella oltre la quale i benefici sono talmente minimi che non ha senso andare.
Si pensi per esempio alla vitamina C che ha un assorbimento dell’80% con 100 mg e di solo il 55,5% con 1 g.
Il consiglio finale è:
non crediate che i benefici di un integratore vadano di pari passo con la quantità assunta; anche se non si cade nel sovradosaggio, oltre certe dosi non è detto che aumentino gli effetti positivi; assumete la quantità più efficiente.
È figlio del precedente. Chi propone l’integratore riconosce l’errore di saturazione, ma insinua il dubbio: potresti essere carente della sostanza X, perché non prenderla? Molte pubblicità si basano su questo errore: ti senti stanco, potresti essere carente di magnesio, prendi…
La risposta alla subdola domanda è duplice: in teoria si può essere carenti di tutto e la nostra vita dovrebbe scorrere trangugiando farmaci e integratori (con il conto in banca che crolla); inoltre ogni sostanza ha effetti collaterali che possono essere lievi, ma a volte sono anche gravi o comunque spiacevoli se si eccede. Si veda quanto detto sopra sul sovradosaggio.
Il consiglio finale è:
prima di prendere un integratore alimentare che dovrebbe ovviare a una carenza, accertatevi di quest’ultima!
Questo errore riguarda tutte le sostanze, ma è molto grave per alcune in particolare. Per biodisponibilità si intende la percentuale della quantità dell’integratore assunto che raggiunge la circolazione sistemica senza subire alcuna modificazione di tipo chimico.
Supponiamo che una persona sia carente di ferro. Una forma rudimentale di integrazione potrebbe essere quella di assumere piccoli pallini di ferro. Non è difficile immaginare che solo una piccolissima porzione di ferro verrebbe assorbita e che i pallini sarebbero eliminati per via intestinale. Questa forma di integrazione avrebbe una bassissima biodisponibilità. Un miglioramento potrebbe essere rappresentato dall’assumere sali ferrosi di un certo tipo, per esempio solfato ferroso. Un ulteriore miglioramento potrebbe essere l’assunzione dell’integratore insieme a una sostanza (in questo caso vitamina C) che aumenti la sua biodisponibilità.
Questo semplice esempio dimostra come l’errore di biodisponibilità possa essere evitato solo con una conoscenza molto buona della farmacocinetica del farmaco, cosa non alla portata di tutti. Per questo motivo l’errore di biodisponibilità è molto grave. Due esempi piuttosto eclatanti.
Il primo riguarda il glutatione. Provate a eseguire una ricerca in Internet della parola glutatione (in lingua italiana): troverete molti articoli che ne dicono mirabilie (spesso si tratta dello stesso articolo riciclato). Peccato che chi fa simili affermazioni non conosca la ricerca di Witschy, Reddy, Stofer, Lauterburg (Eur. J. Clin. Pharmacol.1992; 43(6):667-9) che ha dimostrato che, a causa dell’idrolisi del glutatione da parte della gamma-glutamiltransferasi intestinale ed epatica, l’assunzione di glutatione per bocca (anche fino a 3 grammi al giorno) non aumenta significativamente i livelli di glutatione dell’organismo. E c’è chi suggerisce una dose di 25-30 mg… In altri termini, o ve lo fate per iniezione (infatti i farmaci che lo usano come disintossicante contro le intossicazioni acute si usano per via endovenosa o intramuscolo) o le pastiglie servono solo a farvi buttare i vostri soldi.
Il secondo esempio riguarda il licopene, uno dei carotenoidi che meglio combattono i radicali liberi. Poiché è una sostanza lipofila, il suo assorbimento è legato alla presenza di grassi nella dieta; inoltre la cottura ne aumenta la biodisponibilità sia per la dissociazione dei complessi proteici in cui è incorporato sia per la dispersione degli aggregati cristallini di carotenoidi. Attualmente si pensa che venga trasportato dalle lipoproteine, in particolare quelle a bassa densità (LDL), i cui valori sono tendenzialmente bassi in chi segue modelli alimentari salutisticamente troppo rigidi. Ciò spiega perché in soggetti crudisti con un’alimentazione molto ricca di frutta e verdura, ma povera di grassi, un’integrazione di licopene abbia una biodisponibilità molto bassa.
Il consiglio finale è:
se assumete un integratore, informatevi sulla sua biodisponibilità, senza fermarvi alla semplice quantità assunta.
La seminformazione è la diffusione di una informazione vera, ma fuorviante. Lo scopo è quello di ingigantire l’effetto di un messaggio, ovviamente a proprio vantaggio. Il trucco consiste nel dire la verità, ma di farlo in modo che l’ascoltatore arrivi a conclusioni errate e favorevoli a chi lancia il messaggio. La seminformazione si basa sempre su un’insufficiente cultura o su uno scarso spirito critico del soggetto.
In questo paragrafo facciamo solo due esempi: gli integratori salini e la creatina. Come è dimostrato da una serie impressionante di studi, il reintegro salino è essenziale in attività fisiche della durata superiore alle quattro ore. Considerando anche una sensibilità individuale alla disidratazione, si può comunque affermare che tutti gli integratori salini sono completamente ingiustificati per sforzi inferiori alle due ore; basta reidratarsi con acqua per non avere alcun problema (la quantità dipende dallo sforzo e dalle condizioni atmosferiche).
L’equivoco su cui gioca la pubblicità nasce dal fatto che alcuni problemi (crampi) sono erroneamente attribuiti alla mancanza di sali: se tale motivo fosse vero, perché calciatori perfettamente allenati sono colti da crampi nei supplementari di una partita in una serata primaverile? Sicuramente durante gli intervalli hanno avuto tutto il tempo di assumere sali.

Moltissimi integratori alimentari non funzionano, soprattutto quelli che dovrebbero risolvere piccole patologie o lievi carenze
Il secondo esempio riguarda la pubblicità di prodotti contenenti creatina anche per i non sportivi, con la motivazione che darebbe forza e vigore. Poiché la creatina è coinvolta nella produzione di energia solo per attività esplosive (salti, sprint ecc.) una persona anziana cosa se ne fa della creatina, forse per prendere l’autobus al volo dopo averlo inseguito per una cinquantina di metri? Si noti in questo caso come il “dare energia” sia stato generalizzato da situazioni tutto sommato occasionali per chi non fa sport a situazioni che sembrano quotidiane. Da notare inoltre che la creatina è ampiamente proposta anche negli sport di resistenza dove non offre nessun vantaggio (in tali sport il meccanismo anaerobico alattacido in cui è coinvolta la creatina gioca un ruolo marginale), anzi, favorendo la ritenzione idrica, aumenta il peso del soggetto con un effetto globalmente negativo.
Il consiglio finale è:
se non siete sufficientemente acculturati sulle mirabilie promesse da un integratore alimentare, ascoltate anche la campana contraria (qualcuno che la pensa in modo opposto c’è sempre!).