Gli integratori omega 3 sono prodotti molto ricercati da coloro che credono nell’efficacia dell’integrazione.
Il mito dell’integrazione con omega 3 è nato ormai da diversi anni, ma la sua popolarità non accenna a diminuire e, dal momento che tali integratori sono di moda ci sembra giusto parlarne (rimandiamo all’articolo generale sugli acidi grassi essenziali per i concetti che sono alla base della nostra analisi degli integratori).
Partendo proprio dalla possibilità di integrare naturalmente (con l’alimentazione), il quesito fondamentale è:
è proprio necessario utilizzare integratori omega 3?
Ovvio che la risposta è sì per tutti coloro che non amano i cibi ricchi di tali sostanze, mentre è no per tutti coloro che amano salmone, sardine, noci ecc., come visto nell’articolo sull’integrazione degli EFA. Nel caso di chi non ama questi cibi, la domanda si trasforma in:
gli integratori omega 3 forniscono dosi sufficienti?
Analizziamo prima alcuni trucchi con cui commercialmente si spingono questi integratori.
Eccessiva quantità di omega 6 e omega 9 – Gli omega 6 e gli omega 9 si trovano in quantità persino eccessive nei normali cibi che sono alla base di una sana alimentazione. In particolare gli omega 9 non sono che acido oleico, il componente fondamentale dell’olio d’oliva! Certo che omega 9 suona meglio… Quindi non considerate omega 6 e omega 9 e limitatevi a valutare la quantità di omega 3. Tale quantità dovrebbe arrivare a 3 g al giorno per un soggetto che assume 1.800 kcal.
Olio o acido grasso – Un altro trucco è indicare la quantità di olio “ricco in omega 3”; evidentemente la percentuale di omega 3 è lontana dal 100%. Per cui 1 g di olio può corrispondere per esempio a 0,5 g di omega 3. Leggete l’etichetta per scoprire la quantità effettiva di omega 3.
Il prezzo – Il prezzo deve essere valutato per g di omega 3. Valutate non il prezzo assoluto, ma quanto vi costa un grammo di omega 3. Scoprirete cifre altissime e probabilmente, anche se il salmone al naturale non vi piace, finirete per apprezzarlo.
Informazioni – Le informazioni che si trovano sui numerosi siti che commercializzano gli integratori omega 3 non sono sempre chiare e immediate. Il prezzo per grammo per esempio non è mai indicato (ma questo è abbastanza comprensibile…); altri problemi derivano da qualche incoerenza nelle indicazioni; il quadro è peggiorato poi dal fatto che in molti siti presentano determinati prodotti di importazione utilizzando una traduzione automatica del bugiardino, cosa che contribuisce a creare più confusione che chiarimenti.
Negli anni abbiamo man mano abbandonato la proposta di un’integrazione di omega 3 in base al progressivo assestamento delle conoscenze che ha limitato il ruolo degli acidi grassi essenziali.
Riflessioni sulla teoria degli integratori omega 3
Molte ricerche di fine secolo hanno mitizzato il ruolo degli omega 3, usando soprattutto il trucco delle percentuali relative che vengono applicate alla sopravvivenza cardiovascolare, ma anche utilizzando campioni di popolazione in cui lo stile di vita non era certo ottimale. Man mano che si capiva l’importanza degli omega 3, ma al tempo stesso la si ridimensionava, alcuni studiosi indirizzarono la loro attenzione verso altri aspetti, fiduciosi di trovare comunque qualcosa di miracoloso; in realtà non sono mai riusciti a essere convincenti.
Il “miracolo” degli omega 3 – Per poter parlare in termini estremamente ottimistici degli integratori di omega 3 la prima cosa che si deve spiegare è perché popolazioni che mediamente consumano molto più pesce di altre hanno praticamente la stessa vita media.
Per aggirare questo quesito, alcuni studiosi ritengono che sia fondamentale il rapporto fra acidi grassi essenziali (in questo caso si dovrebbe comunque integrare facendo un computo globale fra alimentazione e integrazione). Per esempio Udo Erasmus (un noto biologo nutrizionista) o Barry Sears (conosciuto per essere l’ideatore della celeberrima dieta a zona) propongono teorie alimentari su rapporti fra acidi grassi essenziali (per esempio 1:4 fra acido alfalinolenico e acido linoleico, ma molti si spingono a rapporti di 1:2, seguendo l’indicazione del Cloister Workshop, 1999), ma arrivano facilmente a posizioni maniacali e impossibili da realizzare praticamente. Il rapporto consigliato attualmente sia dalle tabelle LARN sia dalle linee guida (2002) delle National Academies of Sciences statunitensi (un raro caso dove USA ed Europa sono d’accordo in tema alimentare) è un 1:10 che sembra veramente preistorico. Infatti, se si considerano molti alimenti usuali, si scopre che mentre ci sono quantità non trascurabili di omega 6, sono assenti gli omega 3 (per esempio in 100 g di arachidi ci sono 16 di omega 6 mentre gli omega 3 sono assenti). Questo fa sì che con un’alimentazione “casuale” si arrivi a rapporti di 1:12 (USA) o 1:18 (Australia). Molto meglio tararsi su rapporti 1:4.
Consideriamo i rapporti? – Lavorare sui rapporti è però assurdo per diversi motivi.
1) Ricerche leggere – Quello che questi studiosi non dicono è che i dati che forniscono non sono certi. Le ricerche sugli acidi grassi essenziali sono lungi dall’essere concluse. Molte ricerche sono sui ratti e non sull’uomo. Più che di ricerche leggere sarebbe meglio parlare di ricerche leggerissime. Se esiste la correlazione fra omega 3 e omega 6 per alcuni aspetti (livelli di calcio oppure livello di colesterolo) non è detto che sia generalizzata (benessere dell’individuo). Insomma potrebbe essere che un certo rapporto è ottimale per il fegato, ma non per il cuore. L’errore consiste nel dare per scontato che il modello abbia soluzione nei confronti del rapporto EFA. In particolare, come ogni sostanza (anche prodotta dal corpo umano) ha indicazioni e controindicazioni, un certo rapporto potrebbe avere indicazioni (per esempio: abbassa il colesterolo), ma anche controindicazioni (per esempio: abbassa le difese immunitarie).
2) Errori logici – Come nel caso delle vitamine negli anni ’90, si commette una serie di errori logici, amplificando il significato delle ricerche. Infatti è arbitrario stabilire
- dal fatto che individui carenti in omega 3 sviluppino una patologia -> che un’integrazione con omega 3 possa prevenire tale patologia. È come stabilire che, poiché un’auto senza benzina non va, basta fornirle sempre benzina perché non si guasti mai. Troppo ottimistico.
- Dal fatto che gli omega 3 interessino alcuni processi coinvolti in patologie -> che possano curare queste patologie. Troppo ottimistico.
I due punti sopraesposti sono ampiamente dimostrati dal fatto che, nonostante una corretta gestione degli EFA dovrebbe curare malattie come allergie, asma, arteriosclerosi, eczema, cancro (!!!), malattie autoimmuni ecc., i risultati ottenuti sono veramente molto modesti e sfruttano gli stessi trucchi logici delle medicine alternative.
3) Interessi commerciali – Visto il business che c’è attorno agli oli ricchi di omega 3, è anche ragionevole pensare che ci siano state “spinte” da parte dei produttori. Anche le spinte sull’olio canola (che ha un rapporto 1:2) hanno contribuito ad amplificare senza merito i benefici della teoria del rapporto.
4) Discorso personale – Le diverse famiglie di acidi grassi competono per l’utilizzazione degli enzimi; in particolare la delta 6 desaturasi ha un’affinità decrescente dalla serie omega 3 alla serie omega 9; ciò condiziona i rapporti ottimali di assunzione specie per gli acidi grassi essenziali principali (linoleico e alfa-linolenico). Purtroppo però l’attività della delta 6 desaturasi è influenzata negativamente da numerosi fattori quali carenze vitaminiche e minerali, squilibri ormonali, malattie croniche, digiuno, assunzione di alcol in dosi elevate. In altre parole: il rapporto ottimale dipende da centinaia di altre variabili ed è sicuramente INDIVIDUALE.
5) Ortoressia – Il tentativo di cercare un rapporto ottimale è un caso di ortoressia matematica. Infatti la strategia sarebbe possibile solo se ci fossero pochi alimenti interessati e se fossero esclusivi nei confronti di una delle due serie (cioè o contengono omega 3 o omega 6). In realtà, molti sono gli alimenti che contengono acidi grassi essenziali, anche se in quantità ridotte, ma, più grave, alcuni fra i più gettonati (come l’olio di mais) li contengono entrambi: se aggiungo una certa quantità di un alimento bivalente (cioè con entrambe le classi) vado a sommare una quantità X di omega 3 e una quantità Y di omega 6. Un matematico comprende benissimo che l’additività può rendere impossibile il raggiungimento di un rapporto. Inoltre la quantità di EFA contenuta in molti alimenti dipende dal trattamento: non solo la cottura, ma anche la semplice esposizione alla luce del sole (per esempio per l’olio di lino) degrada l’acido essenziale presente nell’alimento.
Ve la sentite ancora di parlare di “rapporto corretto”?
La soluzione migliore è quindi quella di assicurare al corpo le dosi minime di EFA.

Gli omega 3 sono acidi grassi essenziali, ma come per gli altri elementi essenziali per il nostro corpo l’ideale è cercare di assumerne la quantità necessaria semplicemente con l’alimentazione
Omega 3: le quantità
Le due categorie di acidi grassi omega sono rappresentate, come già accennato, dall’acido alfa-linolenico (ALA) e dagli acidi grassi polinsaturi omega 3 a catena lunga (principalmente EPA e DHA); le due categorie si distinguono per funzione e fabbisogno.
Storicamente si sommavano tali contributi e lo si faceva sommando i valori massimi forniti dalla ricerca, arrivando per esempio alla percentuale dell’1,5% del fabbisogno calorico giornaliero (fonte FAO, 3 g per un individuo adulto con fabbisogno attorno alle 1.800 kcal).
Le ricerche degli ultimi anni hanno portato a un ulteriore raffinamento suddividendo i contributi. Il dato globale di 3 g è stato suddiviso in 2 g per l’acido alfa-linolenico e 0,5-1 g per EPA+DHA.
L’ALA è assunto attraverso molti cibi non espressamente ricchi in esso (carne, formaggi, olio d’oliva, legumi, pesce magro); il problema è che con un’alimentazione equilibrata e in linea con la dieta italiana si arriva a circa 1-1,5 g al giorno. Per esempio, 200 g di carne, 50 g di formaggio, 20 g di olio d’oliva, 100 g di piselli danno 1 g circa con un apporto calorico di 700 kcal. Da notare che l’olio d’oliva è molto ricco in ALA (0,8 g per 100 g), come del resto molti ortaggi a contenuto grasso non basso (per esempio 250 g di avocado danno 0,6 g di ALA con 400 kcal). La frutta secca (noci, arachidi ecc.) è ricchissima di ALA, ma molto calorica.
Più difficile sopperire al fabbisogno di EPA e DHA senza ricorrere ad alimenti specifici come, per esempio, il salmone.
Un alimento prezioso: il salmone al naturale – Alcuni lo consumano crudo a colazione, ottenendo un senso di sazietà notevolissimo; altri lo usano in ricette molto semplici a pranzo o a cena. Ovviamente può essere alternato a frutta secca (noci) oppure ad altri pesci (oltre le sardine, anche sgombri o acciughe), ma vale la pena provare a inserirlo nell’alimentazione perché è un alimento appetibile, saziante e ipocalorico (ASI).
Per arrivare a integrare la dose di EPA+DHA e 0,5-1 g di ALA (la parte non coperta da una normale alimentazione equilibrata) basta giocare con gli alimenti nutraceutici relativamente agli omega 3. Per esempio:
75 g di salmone al naturale e 15 g di noci danno circa (dipende dalle varietà) 1 g di EPA+DHA e 1 g di ALA.
Basta inserirli in una colazione standard e il gioco è fatto (con circa 200 kcal).