I grassi idrogenati sono grassi ottenuti mediante il processo di idrogenazione; il grasso così ricavato ha qualità completamente differenti da quelle del grasso di partenza.
L’idrogenazione
Chi opera nel settore alimentare spesso pensa che l’idrogenazione riguardi solo gli acidi grassi; in realtà si tratta di una reazione chimica attraverso la quale uno o più legami multipli di carbonio vengono ridotti a legami semplici per addizione di atomi di idrogeno (la reazione inversa è detta deidrogenazione). Di solito si usa idrogeno gassoso che agisce sulla materia da idrogenare in presenza di catalizzatori; il tutto avviene a temperature e pressioni elevate.
Nell’immagine sottostante il benzene è idrogenato a cicloesano in presenza di Nickel di Raney.
Grassi idrogenati alimentari
In campo alimentare l’idrogenazione trasforma acidi grassi polinsaturi in altri grassi; storicamente, la margarina (un surrogato del burro) è il grasso idrogenato per eccellenza.
I “vantaggi” dell’idrogenazione sono piuttosto evidenti:
- solidità – Si può ottenere un grasso solido (surrogato per esempio del burro) a partire da oli; i grassi solidi sono molto utilizzati nei prodotti da forno (si pensi a biscotti, brioche, crostate ecc.).
- Lunga scadenza – I grassi idrogenati si degradano meno facilmente rispetto ai grassi naturali: così una brioche prodotta con margarina può avere data di scadenza a un anno quando la stessa prodotta con burro avrebbe data di scadenza di pochi mesi. Per il gusto? Basta aggiungere aromi e il gioco è fatto. Pensateci la prossima volta che al bar ordinerete una brioche senza sapere con che ingredienti è fatta!
- Costi – I grassi idrogenati costano meno e quindi è possibile ottenere prodotti molto competitivi; tale caratteristica amplia l’impiego dei grassi idrogenati a campi in cui i precedenti due presunti vantaggi non sono in fondo determinanti. Si pensi per esempio alla gelateria in cui con grassi idrogenati, aromi e coloranti si possono ottenere decine di gusti da offrire al cliente a costi molto bassi (o a costi “normali”, spacciando il prodotto per genuino e artigianale con ricarichi enormi).
Meno interessante la caratteristica di un’ottima stabilità alla temperatura; infatti anche oli semplicemente raffinati (che comunque contengono una piccola percentuale di grassi trans) hanno alti punti di fumo; nei fast food e negli esercizi di ristorazione di bassa qualità si utilizzano (anzi, si dovrebbe dire si riutilizzano più volte!) oli raffinati più che oli idrogenati.
Grassi idrogenati? No, grazie!
A fronte dei citati presunti vantaggi, salutisticamente c’è purtroppo uno svantaggio che deve bocciare senza appello il processo industriale dell’idrogenazione: alcuni legami passano dalla forma cis alla forma trans. Ormai da anni si sa che i grassi trans sono nocivi per la salute, aumentando soprattutto il rischio cardiovascolare.
A seguito dell’azione dei gruppi salutistici (includo anche il mio sito perché ormai da quasi venti anni è in prima linea), da anni alcuni Paesi hanno posto restrizioni sull’uso di grassi trans e quindi di grassi idrogenati, ma la qualità dei prodotti è migliorata solo di poco per il ricorso massiccio a generici grassi vegetali ottenuti per raffinazione, frazionamento o interesterificazione.
Grassi idrogenati e grassi trans
I grassi vegetali idrogenati sono stati messi giustamente sul banco degli imputati di ogni tribunale salutistico perché collegati ai grassi trans, grassi che alzano i livelli di colesterolo cattivo e abbassano quelli del colesterolo buono.
Negli USA, dal 2006 è obbligatorio inserire sull’etichetta la quantità di grassi trans per cui può capitare di trovare prodotti con grassi vegetali idrogenati e senza grassi trans (0 g). Una prima scappatoia è offerta dalla legge che consente di scrivere 0 per quantità minori o uguali a 0,5 g.
La seconda è offerta dalla chimica cui i produttori sono ricorsi quando è scattato l’obbligo di indicare sulle confezioni grassi trans.
Partiamo da un grasso vegetale. Lo si idrogena parzialmente e diventa un po’ più solido, ma sempre abbastanza cremoso da risultare appetibile. Contiene grassi trans e quindi è da bocciare. Se invece lo idrogeno totalmente praticamente lo trasformo per la maggior parte in acido stearico, un acido che il corpo sa trasformare in acido oleico, un monoinsaturo che non innalza il colesterolo cattivo. La quantità di grassi trans diventa piccola (inferiore al 2-3%, il che significa che, anche per prodotti in cui i grassi idrogenati sono il 20% sul totale, resto sotto a 0,5 g per 100 g e posso scrivere 0). L’inconveniente qual è? Che il grasso così ottenuto è praticamente cera, quindi molto difficilmente digeribile, di pressoché nullo valore alimentare e utile solo ad appesantire il prodotto quel tanto da renderlo simile come consistenza a un prodotto genuino con grassi di prima qualità.
La legge in Italia
Il regolamento n. 1169/2011 relativo alle informazioni che devono essere obbligatoriamente riportate sulle etichette dei prodotti alimentari è stato totalmente applicato a partire dal 13 dicembre 2016; Ciò comporta che si deve specificare l’olio da cui è partito il processo di idrogenazione (per esempio, grassi vegetali idrogenati, soia, mais). Inoltre, dal primo aprile 2021 gli acidi grassi trans che non sono naturalmente presenti negli alimenti sono stati vietati nell’Unione Europea in base a un regolamento della Commissione che risale al 24 aprile 2019.

I grassi idrogenati sono grassi che vengono ottenuti mediante il processo di idrogenazione; il grasso così ricavato ha qualità completamente differenti da quelle del grasso di partenza.
Dove si trovano?
Gli alimenti in cui si possono trovare i grassi idrogenati sono davvero molti; di seguito una lista di quelli da considerare più a rischio:
- Cracker e grissini
- Creme spalmabili
- Dessert, budini e mousse
- Dolci, biscotti, merendine e prodotti di pasticceria
- Farciture per primi e secondi piatti (surgelati) e dolci (per esempio panettoni farciti, cioccolatini farciti ecc.)
- Gelati
- Margarina
- Preparati per cioccolate, dolci, paste sfoglie ecc.
- Semifreddi.
Per la descrizione e la valutazione della categorie si veda La qualità dei cibi.