Le fibre alimentari sono polisaccaridi non polimerizzati come amido (cioè non riuniti in macromolecole come accade per l’amido). Più concretamente, le fibre alimentari sono (quasi sempre) carboidrati che, resistendo alla digestione enzimatica intestinale (anche se una parte è fermentata dalla flora batterica intestinale e quindi assorbita), non sono importanti dal punto di vista calorico. Infatti a volte sono anche dette fibre dietetiche.
Le fibre si trovano in diverse forme solo nei vegetali (cellulosa, pectina, lignina, resina gommosa ecc.).
A cosa servono le fibre alimentari
Sono ormai diversi anni che viene sottolineato il ruolo delle fibre nell’alimentazione (i primi studi sulle fibre alimentari risalgono alla seconda metà del XX secolo); in effetti, le proprietà delle fibre alimentari sono numerose; ne citiamo alcune: aumentano il senso di sazietà, sono in grado di trattenere l’acqua, migliorano la motilità intestinale, riducono l’indice glicemico dei carboidrati e hanno uno scarso valore calorico.
Le fibre alimentari vengono suddivise in due grandi gruppi: fibre solubili e fibre insolubili (in acqua). Sia le fibre alimentari solubili che quelle insolubili intervengono, con differenti effetti, sia nei processi digestivi che in quelli intestinali.
Le fibre alimentari solubili (per esempio le gomme, i galattomannani, le mucillagini e le pectine) sono caratterizzate da notevole idrofilia, ovvero possiedono la capacità di legare molecole d’acqua; a contatto con i liquidi queste fibre formano una sostanza gelatinosa che aderisce molto bene alle pareti dell’intestino.
Le fibre solubili si trovano in diversi alimenti, fra i quali crusca di avena, orzo perlato, legumi, patate, albicocche, mele, riso integrale ecc. Queste fibre rallentano lo svuotamento gastrico (con conseguente aumento del senso di sazietà), rallentano il transito intestinale, facilitano l’eliminazione degli acidi biliari, riducono sia l’assorbimento che la produzione di colesterolo.
Relativamente a quest’ultimo punto, sono diversi gli studi effettuati sugli effetti che le fibre alimentari hanno sul metabolismo lipidico; questi studi hanno mostrato un effetto di riduzione sia dei livelli ematici di colesterolo totale sia di quelli di colesterolo LDL (il cosiddetto “colesterolo cattivo”). Tale effetto potrebbe essere dovuto sia alla diminuzione dell’assorbimento del colesterolo di natura alimentare sia alla diminuzione del riassorbimento degli acidi biliari; alcuni di questi acidi, infatti, si legano ai gruppi polari delle fibre non fermentate e vengono escreti tramite le feci; la sintesi di nuovi acidi biliari (a partire dal colesterolo epatico) induce la captazione del colesterolo in circolo da parte del fegato con conseguente diminuzione dei livelli di colesterolo ematico.
Oltre a favorire un maggior controllo della stipsi idiopatica cronica (aumentano la viscosità della massa intestinale), le fibre solubili possono risultare di una certa utilità per quei soggetti che sono affetti da problemi di tipo metabolico e che potrebbero ricevere un beneficio da un assorbimento dei nutrienti più lento o maggiormente ridotto (il tipico caso è rappresentato da coloro che soffrono di diabete) e anche per coloro che stanno seguendo una dieta mirata alla riduzione del proprio peso in quanto, come detto in precedenza, aumentano il senso di sazietà.
Un’altra importante azione delle fibre solubili è quella di ridurre il rischio di contrarre tumori intestinali. Relativamente alla loro azione antitumorale, diversi sono gli scenari proposti per spiegare l’azione delle fibre, fra questi ne ricordiamo due:
- la produzione di acidi grassi a catena corta come, per esempio, l’acido acetico, l’acido propionico e l’acido butirrico; questi acidi, che sembrano possedere proprietà antitumorali, rappresentano la principale fonte energetica degli enterociti (le cellule dell’intestino) e aiutano a mantenere e migliorare il trofismo e la massa della mucosa dell’intestino.
- Il mantenimento di un pH intestinale ottimale, ciò impedirebbe alla flora intestinale nociva di svilupparsi e produrre metaboliti tossici, alcuni dei quali sembrano avere una qualche relazione con lo sviluppo di tumori intestinali (che sono tra le forme neoplastiche più comuni).
Le fibre alimentari insolubili (per esempio le cellulose, le emicellulose, la lignina e i polimeri di struttura complessa) sono caratterizzate soprattutto dalla loro rimarchevole capacità di trattenere notevoli quantità di acqua e dal fatto di essere fermentate dalla microflora colonica.
Le fibre insolubili sono presenti in diversi cibi fra i quali i cereali integrali, la crusca di grano, il pane integrale, l’orzo intero, le verdure, i fagioli, le fave, i piselli, il radicchio rosso, le melanzane, le carote, le pere ecc.
Queste fibre aumentano la massa fecale e ne diluiscono il contenuto, accelerano il transito intestinale e riducono il tempo di contatto fra mucosa intestinale e sostanze potenzialmente dannose (tossiche, cancerogene ecc).
Le fibre insolubili contribuiscono al miglioramento della regolazione delle funzioni intestinali e possono risultare utili a coloro che soffrono di stipsi spastica, diverticolosi, diverticolite e diarrea.

Le fibre solubili si trovano in diversi alimenti, fra i quali crusca di avena, orzo perlato, legumi, patate, albicocche, mele, riso integrale ecc.
Fibre alimentari: quale quantità?
In seguito alle varie azioni benefiche illustrate in precedenza, si tende spesso (in particolar modo quando si seguono diete ipocaloriche) a eccedere nel consumo di fibre alimentari, dimenticando che una quantità eccessiva ostacola anche l’assunzione di microelementi utili (calcio, ferro, magnesio ecc.), dà problemi intestinali e alla lunga abitua il corpo a essere più attento all’assorbimento dei cibi, causando un effetto ingrassante di rimbalzo quando si torna a una dieta normale.
La quantità consigliata di fibre alimentari dovrebbe essere di 1 g ogni 100 calorie di cibo assunte.
Numerosi sono gli integratori a base di fibre alimentari; il loro impiego è un grossolano errore dietetico: poiché aumentare la quantità di fibre oltre la dose consigliata può essere controproducente, avere la necessità di integrare le fibre vuol dire seguire un’alimentazione squilibrata. Il normale e regolare consumo di frutta e soprattutto di verdura assicura la giusta quantità di fibre.
La dieta italiana definisce l’indice di fibra come il quantitativo in g (moltiplicato per 100) per 100 kcal dell’alimento considerato.
IF=(FIB/CAL)x100
Dove CAL sono le calorie per 100 g e FIB le fibre alimentari in grammi sempre riferite a 100 g.
Quanto più l’indice è alto quanto più la densità di fibre relativamente alle calorie è alta.
NOTA – Per valutare l’apporto in fibre alimentari, è fondamentale riferire il quantitativo di fibre alle calorie dell’alimento piuttosto che considerare il valore assoluto perché l’obiettivo non è assumere tante fibre quanto assumerne la giusta quantità, evitando il sovrappeso derivante da un’assunzione eccessiva di calorie.
Per esempio 100 g di uva contengono solo 1,5 g di fibre apportando circa 61 kcal. Un soggetto con un’assunzione giornaliera di 2.000 kcal dovrebbe mangiare circa 1,3 kg di uva con un introito calorico di ben 811 kcal. Se utilizza insalata (per esempio cicoria 10 kcal/100 g, 3,6 g di fibre) per avere 20 g di fibre bastano 55 kcal. È evidente che le fibre non derivano da un solo alimento, ma l’indice di fibra dà indicazioni su quali alimenti utilizzare limitando contemporaneamente le calorie.
Consultate la tabella degli indici di fibra dei principali alimenti.

Le fibre insolubili sono presenti in diversi cibi fra i quali i cereali integrali, la crusca di grano, il pane integrale, l’orzo intero ecc.
Un po’ di storia
Nel corso degli anni sono state diverse le definizioni di fibra alimentare; storicamente la prima (1953) viene attribuita a Hipsley che definì la fibra alimentare come “porzione non digeribile costituente le pareti delle cellule vegetali“.
Negli anni ’70 del XX secolo, furono molte altre le definizioni date alle fibre alimentari da studiosi quali Burkitt, Trowell, Walzer e Painter secondo i quali dovevano essere escluse dalla definizione i polisaccaridi che venivano aggiunti al regime alimentare come additivi (per esempio la gomma delle piante o la cellulosa modificata); in seguito però tale definizione fu modificata ed essa includeva anche tutti i polisaccaridi e la lignina (sostanze non idrolizzabili dalle secrezioni dell’apparato digerente dell’uomo).
Nel loro testo Chimica degli alimenti, Paolo Cabras e Aldo Martelli riportano due fra le più recenti definizioni di fibra alimentare, una di tipo fisiologico: “la fibra alimentare è la componente dietetica resistente alla degradazione da parte degli enzimi del corredo enzimatico”, e una di tipo chimico: “la fibra alimentare è la somma dei polisaccaridi di origine non amidacea e della lignina”.