Prima di spiegare cos’è l’errore di variabilità, alcune necessarie premesse. Chi segue un regime ipocalorico nel tentativo di dimagrire dovrebbe essere cosciente che senza un computo abbastanza preciso delle calorie non è possibile ottenere risultati, almeno finché il soggetto non abbia fatto l’occhio e non commetta più grossolani errori.
Il primo consiglio (che nessuno segue; analisi della dieta di Francesca: tutto corretto, circa 1.500 kcal eppure nessun risultato. Indagine e scoperta che come spuntino mentre lavora usa circa 100 g di patatine fritte, cioè la bellezza di 540 kcal. Non conosce il contenuto calorico delle patatine in busta e pensa che quell’etto in più diluito nella giornata non sia critico!):
non assumere cibi dei quali non si conosce il contenuto calorico.
L’errore di ignoranza (assumere cibi di cui non si conoscono le calorie) è quello che porta a dire: “io mangio poco eppure non dimagrisco!“.
Il consiglio sopraccitato è anche un modo per imparare, l’alternativa è non assumere nulla e morire di fame, nel qual caso il dimagrimento sembra comunque assicurato.
Purtroppo esiste un secondo errore che è tipico di chi ha una educazione alimentare ancora piuttosto rozza e semplifica troppo le cose.
Si chiama errore di variabilità:
ritenere che un cibo abbia un contenuto calorico fisso, spesso consultabile nelle tabelle alimentari.
Questo non è affatto vero ed è uno dei motivi principali per cui falliscono molti piani alimentari orientati al dimagrimento.
Esistono cibi variabili in cui ogni indicazione alimentare precisa è impossibile. Consideriamo per esempio una marmellata di fragole. Quante calorie ha per 100 g? Risposta: non si può dire con precisione, potrebbe averne 130, 180, 220 o persino 260 dipende da come è fatta (in particolare da quanto zucchero ci si mette).
Fin qui molti ci arrivano e leggono l’etichetta della marmellata comprata al supermercato, ma poi commettono l’errore di cascare su altri alimenti considerati sicuri, per esempio la frutta o gli alimenti molto particolareggiati, come i sughi.

L’errore di variabilità è tipico di chi ha un’educazione alimentare ancora non ben sviluppata e tende a semplificare troppo le cose.
Se consulto una tabella nutrizionale posso leggere che un’arancia al netto apporta 34 kcal/100 g. Però per esempio la varietà Vaniglia Apireno di Ribera (comune nei supermercati) apporta 51,6 kcal, una navelina 48,5 ecc. È ovvio che le approssimazioni nel caso della frutta sono ammesse (l’eventuale errore è piccolo); l’importante è non giocare sempre al ribasso. Per esempio un’arancia al netto può essere calcolata a 40 kcal/100 g e 30 al lordo. Se però comprate sempre lo stesso tipo di arancia, tanto vale informarsi sul contenuto calorico della varietà (molta frutta ha l’etichetta nutrizionale).
Con ragionamento analogo al precedente si può pensare che tutti i sughi al ragù abbiano lo stesso contenuto calorico; idem per i sughi al pomodoro. Sbagliato, perché dipende da come sono fatti. Se si leggono le etichette dei sughi al pomodoro delle varie marche si scopre che sono molto variabili. Se lo facciamo in casa varia ancora di più, perché in genere si abbonda con la parte grassa (olio). Per il sugo al ragù le calorie non dipendono solo dall’olio, ma anche dalla carne che può essere più o meno grassa.
Non si possono pertanto dare con precisione le calorie di un sugo al ragù, si può al più dire che per esempio il sugo al ragù di carne alla bolognese Barilla ha 104 kcal (Proteine: 5 g; carboidrati: 4,1 g; Grassi: 7,5 g).
Errore gravissimo sarebbe però estendere questo concetto a tutti i ragù di carne. Per trovare le proprietà nutrizionali di un ragù occorre partire dagli ingredienti, come spiegato nell’articolo sui piatti preparati.
Esercitatevi a calcolare le calorie delle vostre ricette. Per esempio, si può scoprire che il ragù di carne fatto in casa o gustato al ristorante ha 210 kcal/100 g!