Dieta? No, grazie. Svengo! Lo spunto per questo articolo deriva dalle considerazioni (o meglio dagli alibi) delle molte persone che si astengono dal fare una dieta ritenendola impraticabile.
“Il mio peso ideale è questo; se perdo qualche chilo non ho più la forza di fare niente”.
“Quando non mangio, mi sento svenire”.
“Se mi metto a dieta perderò anche i muscoli”.
“Sono di corporatura robusta, è logico che peso qualche chilo in più della media. Se dimagrissi, sarei sottopeso”.
A prescinder dal fatto che chi ha una corporatura robusta può comunque sottoporsi all’esame di una bilancia impedenziometrica o al test dei trigliceridi per sapere se il suo peso è corretto, occorre notare che non è negativo il fatto di avere qualche chilo in più (del resto, a meno che non si vogliano vincere le olimpiadi, quattro o cinque chili in più non sono significativi nella vita normale), ma quello di addurre motivazioni scientificamente non esatte che se permangono nel tempo possono creare molti problemi.
Infatti, se si ha di fronte un soggetto di 25-35 anni che ragiona in uno dei modi sopraesposti, si può stare certi che si sono poste le basi di una futura obesità o di un sovrappeso nocivo. Infatti, i quattro o cinque chili tollerati (anzi visti come un fattore positivo: mai fare di un vizio una virtù…) diventeranno almeno dieci a 40-50 anni quando il metabolismo rallenterà.
Questo articolo non ha pertanto lo scopo di far perdere anche quei pochi chili in più, ma di creare una educazione alimentare che spazzi via ogni alibi e che predisponga, in caso di necessità, al giusto atteggiamento verso il proprio corpo.
Cosa succede quando non si mangia
Il corpo trae l’energia da diverse fonti (trascuriamo il meccanismo CP che è coinvolto in scatti di breve durata perché quantitativamente insignificante):
a) Glucosio circolante nel sangue (circa il 5% dei carboidrati immagazzinati). La glicemia misura proprio questa quantità. Si parla di ipoglicemia quando i valori scendono sotto un certo limite, provocando disturbi di vario tipo (stanchezza, sofferenza cerebrale ecc.).
b) Glicogeno epatico e muscolare (i carboidrati immagazzinati e pronti per essere usati). Il glicogeno viene trasformato in glucosio prontamente disponibile. La riserva di glicogeno in un individuo è pari (all’incirca, ma con un paragone molto efficace) alle calorie spese in una giornata, cioè al fabbisogno calorico giornaliero in condizioni normali (senza cioè una strenua attività fisica).
c) Proteine. In genere il catabolismo proteico inizia solo dopo un certo periodo di attività a medio-alta intensità; dal 5% dell’energia totale usata dal corpo, dopo quattro ore di attività intensa si può arrivare anche al 40%.
d) Grassi. Mentre i carboidrati sono impiegati per attività di medio-alta intensità, i grassi sono impiegati in attività di bassa intensità. L’uso di una o dell’altra fonte energetica dipende anche da come il corpo è abituato a utilizzare le due “benzine”. La conversione di grassi o di proteine in glucosio avviene tramite processi di gluconeogenesi (cioè di formazione di glucosio a partire da substrati diversi dai carboidrati).
Importante è ricordare che i grassi possono essere bruciati solo in presenza di carboidrati. La miscela cioè può essere per esempio 50% grassi, 50% carboidrati, ma non 100% grassi 0% carboidrati. L’esempio tipico è il crollo del maratoneta (il cosiddetto “muro” che non lo fa più andare avanti) che ha finito i carboidrati, nonostante abbia ancora riserve di grassi enormi.
Se un individuo resta a digiuno per un periodo di 4-24 ore il corpo NON dovrebbe avere problemi perché un organismo che funziona bene:
a) prima consuma il glucosio circolante;
b) quando la glicemia si abbassa partono i meccanismi di conversione del glicogeno immagazzinato in glucosio;
c) parallelamente utilizza i grassi e inizia eventualmente la gluconeogenesi da grassi e da proteine.
È chiaro che se il digiuno si protrae per più di un giorno diventa dannoso. Vediamo un esempio numerico. Consideriamo una donna alta 160 cm e pesante 53 kg; realisticamente ha una massa grassa del 25%. Almeno un 12% cioè 6,89 kg di grasso sono riserve energetiche. La riserva di grasso che ha a disposizione corrisponde a oltre 60.000 calorie, sufficiente a correre 30 maratone!
Se il corpo è a digiuno da diverse ore dovrebbe usare i grassi anziché i carboidrati (la cui riserva è pressoché indipendente dal fatto di essere grassi), ma se non lo fa (perché non ne è capace) tutta quella riserva è inutile, anzi diventa un peso da portare con sé.

Il corpo trae l’energia da diverse fonti: glucosio circolante nel sangue, glicogeno epatico e muscolare, proteine, grassi.
Cosa succede se vado in tilt per non aver mangiato?
Ora la risposta è chiara: non vado in tilt perché non ho mangiato, ma perché i meccanismi b) e c) non funzionano! I chili in più che ho non vengono usati e, al di là dal rappresentare una scorta, in caso di necessità si rivelano ancora una volta solo un peso inutile.
Il motivo per cui i meccanismi b) e c) sono inceppati è da ricercarsi nella mancanza di stimoli da parte dell’organismo a usarli. In presenza di una dieta ipercalorica (che genera sovrappeso) o di una dieta troppo ricca di carboidrati il fisico si abitua praticamente a usare solo il glucosio circolante e usa male (o non usa affatto) le altre due vie energetiche.
Fra gli sportivi in generale (e fra i maratoneti in particolare) è abbastanza usuale trovare soggetti anche forti che non hanno però doti di recupero; anche loro si limitano spesso a utilizzare prevalentemente il meccanismo a) e, parzialmente, il b).
Come si allenano i tre meccanismi
Le strade sono due:
1) con una corretta ripartizione dei macronutrienti nella dieta. Se si ha un’alimentazione con 80% di carboidrati, 10% di proteine, 10% di grassi ci si predispone a essere un individuo glucosio-dipendente nel senso prima spiegato di chi “sviene” se non mangia.
Infatti l’alta quantità di carboidrati abitua il corpo ad avere sempre glucosio circolante e i meccanismi di conversione del glicogeno e della gluconeogenesi (trasformazione di grassi e proteine in glucosio) si atrofizzano; inoltre se si inizia una dieta, si sente particolarmente lo stimolo della fame perché i carboidrati sono i cibi più appetibili, ma meno sazianti.
Viceversa, con una ripartizione del tipo 50% carboidrati, 20% proteine, 30% grassi (ricordiamoci che qualunque medico serio consiglia una quota di grassi del 30%) si attivano i processi di gluconeogenesi, è possibile adottare diete comunque sazianti e non si rischia una diminuzione muscolare poiché il 20% di proteine (eventualmente integrate con aminoacidi ramificati se ci si allena tutti i giorni) mette al riparo dal catabolismo muscolare non recuperato.
2) per chi fa sport occorre imparare ad allenarsi anche in condizioni di deplezione di glicogeno per attivare i meccanismi di gluconeogenesi. L’errore di non allenarsi perché si è stanchi dal giorno prima indica sempre un errore di fondo: se la stanchezza è veramente imponente si è sbagliato l’allenamento precedente (era un allenamento e non la finale olimpica!); viceversa se è ragionevole, non si deve aspettare che ritornino le condizioni di freschezza per un nuovo allenamento alla morte, ma ci si deve allenare moderatamente proprio per abituare il corpo a produrre energia anche quando le fonti principali sono un po’ esaurite.
Cosa non fare
Il corretto utilizzo delle due strade predispone il soggetto a contrastare efficacemente la stanchezza. Dovrebbe essere ormai chiaro che chi si sente stanco perché non ha mangiato, anziché soddisfare il corpo con una bella fetta di torta dovrebbe allenarlo a utilizzare le risorse che ha.