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Dieta a punti

La dieta a punti è un modello alimentare ideato negli anni ’70 del secolo scorso dal dietologo italiano Guido Razzoli; si tratta di un regime alimentare che si basa su una riduzione marcata dell’apporto di carboidrati (può quindi essere inserita nella categoria delle cosiddette diete low carb): la conseguente riduzione della produzione di insulina del corpo sarebbe alla base dell’effetto dimagrante.

Com’è formulata la dieta a punti?

La dieta appunti è formulata assegnando un punteggio a 100 g di ogni cibo; il soggetto viene lasciato libero di comporre il proprio menù giornaliero, ma deve rispettare un vincolo:

la somma complessiva dei punti corrispondenti a quanto mangiato deve essere compresa tra 40 e 60.

Dal momento che vi sono anche cibi a zero punti (per esempio 100 g di salmone), significa che alcuni cibi possono essere consumati a volontà.

Il punteggio viene assegnato in modo da privilegiare alimenti proteici e lipidici, mentre penalizza (attraverso l’attribuzione di punteggi maggiori) quelli con alto contenuto di carboidrati.

Il legame tra punti e calorie è del tutto aleatorio, per esempio si assegnano 5 punti a 10 g di fette biscottate (tipicamente 40 kcal), mentre 0 punti a 100 g di tonno sottolio (sgocciolato? 240 kcal circa).

La dieta a punti non prevede né un periodo massimo, né un calcolo di una perdita di peso aspettata.

Non vengono date indicazioni specifiche su un regime di mantenimento diverso da quello della dieta stessa.

Punti deboli

I punti deboli della dieta a punti sono parecchi:

Ripartizione errata dei macronutrienti – La dieta a punti è caratterizzata da una ripartizione dei macronutrienti decisamente sbilanciata verso le proteine e i grassi, anche se l’arbitrarietà nel comporre i 60 punti giornalieri impedisce di parlare di ripartizione classica in termini percentuali. Tuttavia, i criteri favoriscono sicuramente proteine e grassi, a scapito dei carboidrati. Inoltre il vincolo quotidiano dei punti (60) non è legato in alcun modo alle condizioni iniziali del soggetto (peso iniziale, calo ponderale atteso, sesso).

Demonizza alcuni alimenti – Attribuire molti punti ai cibi ricchi di carboidrati trasmette l’idea che tali cibi facciano ingrassare, mentre quelli a zero punti siano innocui! Per come è composta la tabella dei punti poi, si penalizzano alimenti ricchi di vitamine (come le verdure) e, in generale la dieta a punti risulta fortemente penalizzata nell’apporto dei micronutrienti (vitamine, minerali e fibre).

Non trasmette una coscienza alimentare – L’idea di attribuzione dei punti prescinde da qualunque discorso di educazione alimentare: il paziente non comprende la differenza tra gli alimenti con punteggio uguale e li reputa interscambiabili. Inoltre, l’eccessiva permissività nel comporre il menu giornaliero e la mancanza completa di un controllo calorico (esplicito o implicito, mediante i punti) possono causare il completo insuccesso della dieta a punti.

Calcolo delle calorie – La dieta a punti non si basa sul calcolo delle calorie e, per come è pensato il meccanismo del punteggio, può rivelarsi del tutto inutile o addirittura far guadagnare peso, se chi confeziona il menu giornaliero non ha alcuna conoscenza dell’apporto calorico dei vari alimenti.

dieta a punti

La dieta appunti è formulata assegnando un punteggio a 100 g di ogni cibo; si è liberi di comporre il proprio menù giornaliero, ma si deve rispettare un vincolo: la somma complessiva dei punti corrispondenti a quanto mangiato deve essere compresa tra 40 e 60

Punti di forza

L’unico punto di forza della dieta a punti, rispetto ad altre diete ancora meno scientifiche e razionali, consiste nel fatto che, per lo meno, l’applicazione del metodo del punteggio costringe il soggetto a pesare gli alimenti (anche se non tutti!).

Esercizio fisico – Nella formulazione propagandata in Rete, non si fa alcun riferimento alla necessità di abbinare l’esercizio fisico al regime alimentare dimagrante.

La dieta a punti funziona?

Il nostro giudizio sulla dieta a punti è decisamente negativo. Si tratta, essenzialmente di un’inutile complicazione con scarsissimi risultati pratici (gli unici sono ottenuti con persone che si sovralimentavano in maniera decisamente eccessiva).

Se ci si deve districare fra pesate e somme di punti, non è meglio capire cosa c’è veramente dietro i cibi che mangiamo, cioè formarsi una coscienza alimentare?

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