Questo articolo che tratta della degradazione degli oli è introduttivo alla risoluzione del problema di come e quando friggere. Infatti, gli oli commestibili subiscono varie degradazioni che ne abbassano notevolmente l’interesse e il valore alimentare, in alcuni casi arrivando anche nella fascia di danno per la salute.
In maniera divulgativa cercheremo di semplificare i principali processi riassumendoli praticamente in pochi casi.
Gli acidi grassi liberi
La percentuale di acidi grassi liberi non deriva solo dalla lavorazione (per esempio gli oli raffinati ne hanno molto pochi e per questo hanno alti punti di fumo), ma anche dalla natura intrinseca dell’olio. Nel caso dell’olio d’oliva tale percentuale rappresenta l’acidità ed è un importante parametro merceologico; infatti l’aumento dell’acidità è dovuto a un enzima specifico (lipasi) che agisce catalizzando la reazione di trasformazione:
trigliceride -> digliceride + acido grasso.
L’azione della lipasi può poi continuare sul digliceride, aumentando la frazione di acidi grassi liberi. Tale azione ha un massimo attorno a 35-40 °C, mentre si arresta intorno a 0 °C.
Per legge un olio d’oliva extravergine deve avere un’acidità massima dello 0,8%, mentre in genere i migliori oli extravergini arrivano allo 0,3-0,4%.
Poiché la quota di acidi grassi liberi influenza il punto di fumo, è importante che la percentuale di acidi grassi dell’olio di base sia bassa.
La temperatura
Di solito si cerca di rappresentare il degrado dell’olio in funzione della temperatura con il punto di fumo, temperatura alla quale si sviluppano sostanze nocive e tipico di ogni olio. In realtà, il punto di fumo varia a seconda di molte condizioni, alcune indipendenti dall’olio stesso (per esempio l’uso di una padella più ampia abbassa il punto di fumo). Il punto di fumo descrive solo la degradazione del glicerolo in acroleina a causa della temperatura. In altri termini, la temperatura elevata (spesso superiore ai 150 °C) promuove una scissione simile a quella ottenuta per via enzimatica per intervento della lipasi. La principale differenza è la velocità del processo che in caso di temperature molto elevate è sicuramente maggiore di quella causata dall’enzima.

Il punto di fumo di un olio dipende dal contenuto di acidi grassi liberi
Ossidazione enzimatica
In genere, la quantità di perossidi misura lo stato di ossidazione dell’olio. Tale stato è praticamente detto irrancidimento, termine che tutti associamo alla formazione di sostanze dall’odore e dal sapore sgradevoli.
Nel caso di olio fresco la causa dell’ossidazione è soprattutto enzimatica; l’enzima lipossidasi lega chimicamente l’ossigeno dell’aria agli acidi grassi dei trigliceridi; il fenomeno è dipendente dalla temperatura, ma la lipossidasi risulta attiva anche a temperature normali (-40 °C). L’ossidazione enzimatica è maggiore quanto più l’olio è insaturo e quindi è massima nei polinsaturi.
Per questo motivo, l’impiego di olio di girasole nei surgelati deve considerarsi una seconda scelta perché, di fatto, anche a basse temperature è meno stabile alla lunga conservazione dell’olio d’oliva.
Ossidazione chimico-fisica
L’ossidazione può avvenire anche per esposizione alla luce (diretta o soffusa) senza l’intervento di enzimi. La reazione origina idroperossidi secondo lo schema (R* e H* sono i due radicali; E. Fedeli; Gli oli e i grassi nella nutrizione umana; Journal of Food Science and Nutrition; lug-sett. 2004):
Iniziazione – RH — > R* + H*
Propagazione – R* + O2 — > RO2*
RO2* + RH — > R* + ROOH
L’intervento di un attivatore (generalmente una radiazione, ma anche il calore o il contatto con alcuni metalli come ferro, rame, nickel) inizia il processo con la formazione dei due radicali liberi R* e H*. R* si combina con una molecola di ossigeno e si genera il radicale perossido RO2* che a sua volta estrae idrogeno da una molecola lipidica intatta e rigenera un radicale R* che ritorna a combinarsi con ossigeno nella reazione di propagazione.
Poiché l’iniziazione è sempre attiva, il fattore di propagazione è sempre maggiore di 1 e si ha una reazione a catena, aggravata dal successivo intervento del perossido ROOH che è molto reattivo.
Se interviene un antiossidante (AH) la reazione a catena può essere interrotta secondo lo schema:
ROO* + AH — > ROOH + A*
ROO* + A* — > ROOA
Come si vede, si ha alla fine del processo un complesso stabile.
La raffinazione degli oli distrugge gran parte degli antiossidanti contenuti naturalmente nell’olio; inoltre anche l’ossidazione chimico-fisica è maggiore se la temperatura di lavoro è maggiore.
L’indice Rancimat
È un indice che misura il grado di resistenza all’ossidazione. Si valuta a temperatura elevata (di solito 110 °C); la produzione di composti volatili altera la conducibilità di un sistema di controllo (per esempio della semplice acqua in cui sono convogliate le sostanze prodotte):
un repentino cambio di questa conducibilità rileva che il processo di ossidazione si è innescato in maniera significativa.
In genere:
- gli oli non raffinati possono avere valori di Rancimat di 8-10 ore. Gli oli ricchi di acidi grassi polinsaturi hanno indice minore.
- I migliori oli d’oliva extravergini hanno valori superiori a 10, arrivando fino a 14-16 ore se denocciolati (Amirante e al., 2001).
- Gli oli raffinati senza l’aggiunta di antiossidanti non arrivano alle 8 ore.
- Per prolungarne la conservazione si aggiungono antiossidanti come il butilidrossianisolo (BHA) o il butilidrossitoluolo (BHT) che la dieta italiana guarda con sospetto.