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Pangasio

Il pangasio (Pangasius hypophtalmus) è un pesce di origine asiatica, allevato soprattutto in Vietnam, nel delta del fiume Mekong (l’undicesimo fiume più lungo del mondo). In Italia, ma lo stesso vale per molti paesi occidentali, grazie anche al basso costo, il suo consumo è in crescente aumento tanto che questo pesce potrebbe diventare uno dei protagonisti della ristorazione collettiva (mense aziendali e scolastiche); i dati FAO Globefish riportano che circa i due terzi delle esportazioni vietnamite di questo pesce sono destinate alla Russia e alla Comunità Europea.

Il business che c’è attorno a questo pesce ha fatto sì che ci fosse molta seminformazione; lo scopo della seminformazione è evitare che il consumatore si dirotti verso il pangasio, abbandonando i mercati tradizionali del pesce allevato: vediamo cosa non va nelle due principali obiezioni al consumo di questo pesce.

Il pangasio è un cibo scadente?

Dal punto di vista organolettico il pangasio non è niente di eccezionale, non è particolarmente saporito né profumato (una sua curiosa peculiarità è proprio l’assenza del tipico odore di pesce); la polpa è bianca o rosa chiaro, praticamente priva di lische. Insomma, non è granché.

Le frodi – È stato protagonista di qualche frode alimentare perché non è facilissimo distinguere i filetti di pangasio da quelli di merluzzo, di cernia, di halibut o di gallinella, pesci sicuramente più pregiati e quindi più costosi. Premesso che il numero delle frodi è stato decisamente limitato, non si tratta di frodi ai danni della salute, ma solo ai danni del portafoglio del consumatore: del resto non siamo abituati a frodi legalizzate come quelle di prodotti che vengono pubblicizzati con il termine “genuino”, salvo contenere grassi vegetali, margarina, aromi, conservanti e chi più ne ha più ne metta?

Il contenuto nutrizionale – Secondo alcuni autori il pangasio avrebbe fra le 60 e le 90 kcal/100 g (dati poco convincenti) mentre i siti americani (come questo dove potrete trovare le calorie del pangasio) danno fra 90 e 120, dati sicuramente più realistici.

Grassi saturi – Leggiamo cosa diceva anni fa l’ex INRAN (ora CREA): “i monitoraggi hanno mostrato un elevato contenuto in acqua (80-85 g/100 g), un contenuto proteico di poco inferiore a quello della maggior parte dei pesci consumati in Italia, un basso contenuto lipidico (1,1-3,0 g/100 g). Per quanto riguarda la frazione lipidica si nota una predominanza degli acidi grassi saturi (41,1-47,8% del totale degli acidi grassi); la quantità di omega-3 è minima (2,6-6,7% del totale degli acidi grassi)”. Lo stesso istituto, del resto, ebbe a precisare, per bocca di uno dei suoi dirigenti di ricerca dell’area prodotti ittici: “Il pangasio, rispetto alle specie di acquacoltura nazionale e alla maggior parte delle specie ittiche tradizionalmente consumate, ha un valore alimentare inferiore“.

Sembrerebbe una condanna senza appello, ma emessa da una giuria di parte:

  1. È ovvio che il contenuto d’acqua sia alto; per tutti i pesci e i molluschi attorno alle 100 kcal/g tale contenuto è alto: (78,55% per il calamaro, 79,06% per la sogliola; fonte: Le vere tabelle nutrizionali)
  2. Per quanto riguarda gli acidi grassi, solo i pesci ipercalorici (come salmoni o sgombri) contengono tanti omega 3. Il tonno per esempio ha pochissimi omega 3: che facciamo? Non lo mangiamo più?
  3. I pesci ipocalorici, come il pangasio, contengono una buona percentuale di grassi saturi, grassi che sono contenuti in moltissimi cibi e che non vanno demonizzati. La sogliola contiene un 33% di grassi saturi (sul totale dei grassi), il calamaro il 35% e il branzino il 30%. D’altra parte, se i grassi saturi fanno malissimo, se è vero che il pangasio contiene il 40% di grassi saturi, ma ha solo in media 2 g di grassi contro i 5 g della trota (su 100 g)che ha il 25% di grassi saturi, un etto di trota e un etto di pangasio contengono circa la stessa quantità di grassi saturi!

Un voto realistico al pangasio come qualità nutrizionale potrebbe assestarsi attorno al 5.

pangasio

Filetti di pangasio

Il pangasio è sicuro?

La sua introduzione a livello di ristorazione collettiva non ha mancato di creare notevoli polemiche. Polemiche del tutto immotivate, visto che l’assenza di lische rende il pangasio particolarmente indicato per i bambini. Inoltre bisogna rilevare che le autorità preposte ai controlli hanno dato il via libera all’uso di questo tipo di pesce. Nonostante questo:

  • alcune catene di supermercati hanno deciso di non venderlo
  • una regione (Emilia-Romagna) lo ha tolto dalle mense scolastiche.

Le obiezioni mosse all’utilizzo di questa specie ittica, più che sul modesto livello qualitativo, si basano soprattutto sulla sua provenienza; secondo alcuni il fiume Mekong, luogo dal quale proviene la maggior parte del Pangasio destinato all’Europa, è uno dei fiumi più inquinati del mondo; il Mekong, durante il suo percorso, attraversa molti paesi asiatici e, lungo questo percorso, gli scarichi industriali sono molto numerosi (più di duecento). Inoltre il suo allevamento creerebbe un grande impatto ambientale.

Le obiezioni sarebbero sensate se si usasse lo stesso peso e le stesse misure per moltissimi altri cibi presenti sulle nostre tavole, cosa che, per ragioni commerciali, non avviene.

Questi concetti sono stati amplificati da alcune, passatemi il termine, scandalose trasmissioni televisive che hanno pescato nel torbido (non certo del Mekong!). Infatti basta qualche decina di euro e tutti possono analizzare un filetto di pangasio andando alla ricerca delle terribili sostanze. Se le trasmissioni fossero state professionali, avrebbero preso dieci, venti campioni di pangasio dalle varie città e con al massimo un migliaio di euro avrebbero potuto fare informazione corretta e scoprire quello che le autorità avevano scoperto: nessuna traccia di sostanze inquinanti (per la cronaca, il nostro campione di Pavia ha dato risultato negativo).

Un’unica avvertenza: prima di surgelare il pesce, alcuni esportatori lo conservano con E451 (fosfato trisodico), additivo ammesso dalla comunità europea (è incredibile che alcuni siti lo recensiscano come additivo non alimentare!), ma non consigliato dalla dieta italiana. Lo scopo è di trattenere un po’ d’acqua allo scongelamento, dando maggior consistenza al prodotto. La differenza sta nell’impiego: in una bevanda il conservante non può essere eliminato e viene assunto al 100%, in un pesce (pensate al sale che conserva il merluzzo, ma in quantità decisamente inferiore) basta lavarlo accuratamente prima dell’impiego: la percentuale di additivo che penetra nella carne è minima e non ha senso poi rinunciare al pangasio e ingurgitare litri di bevande gassate conservate con fosfati e ortofosfati. In ogni caso, la presenza di E451 è segnalata sull’etichetta alimentare per cui il consumatore può distinguere tranquillamente fra pangasio di serie A e pangasio di serie B.

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