Prima di parlare di alimentazione biologica sono necessarie alcune brevi, ma fondamentali premesse.
Alimentazione e biologica sono due termini che mal si sposano ingenerando molte confusioni. Per la lingua italiana, biologico significa relativo alla biologia o agli esseri viventi ed è difficile legarlo ad “alimentazione”. L’interpretazione più corretta di “alimentazione biologica” è la sua derivazione da “agricoltura biologica”, quella forma di agricoltura che utilizza concimi organici (ecco il “biologico”) anziché fertilizzanti chimici, predatori naturali (riecco il “biologico”) anziché pesticidi ecc. Quindi:
alimentazione biologica significherebbe un’alimentazione che usa prodotti derivanti da agricoltura biologica.
In realtà, esiste sempre una certa sovrapposizione (e confusione) fra alimentazione biologica e dieta purista. Per chiarire la posizione un purista ritiene l’alimentazione biologica necessaria, mentre in molti altri modelli alimentari l’alimentazione biologica è un’interessante possibilità.
Alla base delle concezioni puriste ci sono semplici concetti, tipici dell’ecologismo un po’ approssimativo della prima ora. Ricordiamo che la dieta purista è una forma di ortoressia salutistica.
(1) Solo ciò che è naturale è buono.
Non ci vuole molto a smentire questa frase; per chi non avesse tempo e voglia di leggersi l’articolo sul naturale, ricordiamo solo che i meccanismi naturali non sono interessati al singolo, ma alla specie e pertanto hanno in sé fenomeni di distruzione (invecchiamento e morte) che iniziano quando si nasce e sfruttano agenti “naturali”. Si pensi solo all’azione deleteria del sole sulla pelle: cosa c’è di più naturale del sole?
(2) Siamo ciò che mangiamo.
Anche questa frase è decisamente ottimistica. La scienza ha posto numerosi capisaldi su ciò che fa male, ma è ancora tutto da dimostrare che una cura “maniacale” nell’alimentazione possa preservare da malattie. I progressi della genetica portano a credere che la frase sopraccitata sia solo parzialmente vera, perché è anche vero che “Siamo ciò che nasciamo”.
Una posizione più ragionevole e meno ottimistica (direi meno illusoria, visto che su molti libri (non specificamente riguardanti l’alimentazione biologica, ma la nutrizione in generale) si propongono diete per curare tutte le patologie comprese la depressione e la dipendenza da alcol!) è quella sintetizzata dalla frase che sono solito premettere a ogni discorso sull’alimentazione:
(3) chi mangia male vivrà peggio, ma è ottimistico sperare di essere immuni dalle malattie mangiando benissimo.
In un regime alimentare equilibrato la frase (3) sostituisce la (1) e la (2), evitando ogni atteggiamento ortoressico.
Fatte queste premesse vediamo i vari concetti implicati nel discorso e le regole più sensate da applicare.
Alimentazione biologica e genuinità
Motivi commerciali spingono a “esagerare” il vantaggio della genuinità (originariamente il termine “genuino” indicava il figlio che il padre prendeva sulle ginocchia, oggi è sinonimo di non sofisticato o alterato), confondendo interessi “nostrani” con la salute. Un esempio è quello dei salumi. Tutti gli insaccati contengono “conservanti pesanti” (nitriti e nitrati; non lasciatevi confondere dal concetto “senza polifosfati aggiunti” che sono un’altra cosa). È abbastanza irrealistico pensare che possano far parte di un’alimentazione “naturale” che debba migliorare la nostra salute. Questo nonostante che siano “genuini” e che siano il piatto forte di molte sagre paesane che vogliono riscoprire i sapori di una volta.
Un altro esempio è quello dei grassi vegetali, presenti in molte preparazioni industriali. Il 3 agosto 2003 è entrata in vigore la legge europea che consente che nel cioccolato sia presente una maggiore quantità di grassi vegetali (5%) non derivanti direttamente da quelli del cacao. Molti sono insorti contro la direttiva in nome della genuinità. In televisione e sui giornali nessuno degli intervistati ha saputo descrivere la realtà in modo oggettivo e non commerciale. Infatti:
1) Se è vero che fra gli altri grassi vegetali (burro di illipé, l’olio di palma, il burro di karité, il cocum, i noccioli di mango e l’olio di cocco, vedasi allegato II della direttiva) ce ne sono alcuni (notate: non tutto ciò che è naturale fa bene!) come l’olio di palma e l’olio di cocco che hanno alte percentuali di grassi saturi, è pur vero che anche il burro di cacao contiene gli stessi grassi saturi. Quindi dal punto di vista nutrizionale non si perde nulla.
2) Sono stati demonizzati i grassi vegetali (in parte giustamente), ma nessuno ha avuto il coraggio di dire che biscotti, gelati, piatti surgelati, pasticceria, merendine in genere ecc. ne contengono a iosa e contengono alimenti peggiori (grassi vegetali idrogenati e margarina). Se si vuole che il cioccolato non contenga grassi vegetali perché non si usa lo stesso metro di misura con i biscotti? Semplice, per ragioni commerciali, visto che tutti i produttori italiani di biscotti usano grassi vegetali!
3) Il 5% sul totale inserisce nel cioccolato una quota di grassi saturi trascurabile. Anche il risparmio economico è del tutto marginale per il consumatore: anche ammesso che i grassi saturi non abbiano costo, il risparmio sarebbe al massimo del 5% e la differenza di prezzo sarebbe minima.
4) Se il prodotto fosse veramente peggiore (come sostengono molti puristi), il consumatore se ne accorgerebbe (la legge europea non vieta di scrivere sull’etichetta “senza grassi vegetali diversi dal cacao!”) e, nonostante il risparmio del 5%, non lo comprerebbe. Il guaio è che non è detto che il prodotto sia peggiore: infatti alcuni grassi vegetali (come il burro di karité) danno una maggior morbidezza al prodotto. L’esempio più classico è la celeberrima Nutella: con una percentuale di grassi vegetali del 13% è decisamente più spalmabile di creme con meno grassi vegetali (5%). Sicuramente la spalmabilità del prodotto è uno dei suoi punti di forza.

Nel decennio 2008-2018 in Italia il mercato dell’alimentazione biologica è aumentato del 171%, ma la crescita ha rallentato, nel 2018 solo del 5%
Concludendo:
1) non basta che un prodotto sia genuino, occorre anche che sia salutisticamente migliore!
La tossicità (conservanti e coloranti)
Un certo terrorismo ecologico degli anni ’80 del secolo scorso riteneva che esistessero centinaia di sostanze cancerogene. Tutto o quasi era cancerogeno. Ci si basava spesso su ricerche su animali in cui alle povere bestiole venivano somministrate dosi magari cento o mille volte superiori quelle “normali”. L’errore di fondo era non capire che ogni sostanza è potenzialmente tossica se assunta in dosi enormi. In realtà attualmente sono meno di settanta le sostanze di cui è accertata la cancerogenicità. Certo coloranti e conservanti possono fare altri danni oltre a provocare il cancro (per esempio provocare allergie, ma si è allergici anche a sostanze del tutto naturali!), ma occorre che questi danni siano provati e non siano semplicemente supposti in base a test non riconosciuti dalla scienza ufficiale. Quindi:
2) evitiamo gli alimenti con additivi sospetti (vedi carta degli additivi della dieta italiana) ed evitiamo i conservanti quando esiste un prodotto fresco equivalente facilmente reperibile (come lo yogurt);
3) limitiamo i coloranti non sospetti (ininfluenti dal punto di vista della pericolosità alla salute) perché sono una truffa psicologica (come lo sono le mele lucidate o le arance spacciate per biologiche solo perché colte con il rametto che poi viene anche pagato!).
La tossicità (pesticidi, metalli pesanti ecc.)
Vale lo stesso discorso fatto per coloranti e conservanti, ma per questo secondo gruppo occorre una maggiore attenzione perché ciò che resta sui nostri cibi è sicuramente nocivo (a differenza del primo gruppo dove sigle “terribili” possono nascondere l’indicazione convenzionale del caramello o dell’acido ascorbico, la semplice vitamina C contenuta nella frutta). Sembrerebbe logico a questo punto stare dalla pare dello zero assoluto in base al principio di precauzione. Tale atteggiamento sarebbe però irrealistico perché in base a tale principio si dovrebbe vivere ancora nel medioevo. Pensiamo all’intrinseca contraddizione di quanti mangiano biologico e poi hanno la cantina di casa loro in diretta connessione con il garage dove i gas della macchina sono liberi di depositarsi su tutto ciò che è attorno. Volenti o nolenti un certo grado di inquinamento è il prezzo che si deve pagare per il progresso:
occorre mantenere il livello di inquinamento sotto il limite di guardia di nocività per la salute.
L’opzione ZERO, anziché essere positiva, può addirittura rivelarsi nociva (un po’ come chi vuole pretendere di dormire nell’assoluto silenzio: immerso nel mondo reale sarà un insonne perenne). Molti veleni a dosi bassissime sono utili; ricordando l’esperimento di Mitridate, chi rifugge da ogni fonte inquinante, la prima volta che è costretto ad affrontarne una, crolla, avendo il fisico impreparato all’evenienza. Non pensiamo che il nostro fisico sia così fragile da non essere in grado di costruirsi difese. Anzi, un livello di inquinamento minimo è in grado di produrre reazioni molto interessanti. Non si tratta pertanto di opporsi all’inquinamento, ma di saperci convivere, sfruttandolo per potenziarci ancora di più. Il vero problema è di fissare i livelli minimi accettabili; questo deve essere il compito di chi vuole operare concretamente. Per farlo si devono usare i dati della ricerca e aggiornare continuamente la situazione. Premesso che la legge deve garantire il cittadino fissando limiti di inquinamento non nocivi, è chiaro che una mela che arriva al supermercato non può avere livelli di pesticidi tossici (e oggi è così). È anche vero che i sostenitori (spero “vecchi”, visto che qualcuno lo avrò convinto) dell’opzione ZERO potrebbero obiettare: perché rischiare? Perché con questo ragionamento si dovrebbe temere ogni livello infinitesimo di inquinamento, il soggetto vivrebbe in un mondo che ritiene superinquinato e, psicologicamente ciò è devastante. È come per un prete vivere in un bordello pieno di peccato e lussuria. Quindi occorre una posizione ragionevole:
4) scegliamo prodotti biologici purché non siano decisamente sfavorevoli dal punto di vista economico.
Perché scegliamo il prezzo come discriminante? Perché è ovvio che fra un prodotto biologico e uno “normale” non può esserci un’enorme differenza di prezzo; se c’è significa o che la produzione è così complessa che sarebbe impossibile da replicare su larga scala o che chi vende biologico vuole specularci sopra.
Industriale vs. artigianale – A prescindere dal fatto che ormai anche il biologico sta diventando “industriale”, originariamente la contrapposizione con l’artigianale era sinonimo di garanzia. In realtà, è tutto il contrario. Esistono cibi industriali che sono decisamente migliori di prodotti artigianali. Pensiamo ai surgelati. Molti non sanno che per la conservazione si sfrutta il freddo senza alcun conservante. Quindi dal punto di vista nutrizionale surgelato e prodotto fresco sono esattamente la stessa cosa. Sicuramente sono migliori di prodotti artigianali confezionati con conservanti: anche l’artigiano deve fare i conti con il profitto e la tentazione di certe scorciatoie è sempre forte. I prodotti della grande industria sono in parte garantiti dal nome stesso: nessuna grande azienda metterebbe i propri investimenti (e i propri profitti) a rischio per frodi alimentari più o meno gravi, anche perché sa benissimo di avere sempre i riflettori puntati su di sé. Quindi:
5) scegliamo prodotti artigianali solo se la qualità è veramente superiore.
Un esempio classico è il pane; fatto in maniera industriale nei moderni panifici è decisamente immangiabile dopo mezza giornata. Fatto da ottimi artigiani o da noi stessi è decisamente meglio. La stessa cosa non può dirsi invece della pasta che industrialmente è comunque di buona qualità. Un altro esempio può essere il gelato: sinceramente preferisco sapere cosa mangio piuttosto che un generico gelato artigianale di cui è difficile calcolare l’apporto calorico e il quantitativo di zucchero. Un ultimo esempio è il vino. La grande qualità si può ottenere oggi industrialmente e il Brunello di Montalcino non è certo prodotto da piccole aziende familiari.
Alimentazione biologica e condanna della raffinazione
I cibi integrali hanno i loro pregi (sono più ricchi di fibre e sono leggermente meno calorici), ma non sopravvalutiamoli (anche perché un loro uso massiccio non è privo di effetti collaterali, provocando in individui predisposti irritazioni intestinali). Un mio amico sostiene che “un’alimentazione centrata e completa non può fare a meno di una buona dose di cereali integrali per il rispetto degli equilibri psichici di qualunque individuo”. Sinceramente non uso cereali integrali che occasionalmente, ma non ho mai dimostrato squilibri psichici, anzi… Si faccia riferimento a Cibi raffinati per approfondire l’argomento.
Alimentazione biologica e allevamento degli animali
La crociata contro la carne partì non tanto dai grassi saturi che accompagnano il grasso animale quanto dalla presenza di ormoni, antibiotici ecc. nelle carni di animali allevati a scopo di lucro (allevamento da reddito). Si inserirono poi considerazioni nutrizionistiche (i grassi saturi) ed etiche (la morte degli animali e le loro condizioni di cattività). Oggi si cerca di proporre allevamenti “biologici”, dimenticando la parte etica e quella nutrizionale e spingendo sul fatto che non si usano concimi chimici per i foraggi, non si usano mangimi ecc.
La vicenda della “mucca pazza” di diversi anni fa ha riproposto la questione in modo drammatico e una soluzione generale non è facile, tant’è che per alcuni prodotti (come il pesce) non si può che ricorrere a pesce d’allevamento: le quantità necessarie per una sana alimentazione rendono improponibili altre fonti alternative perché eccessivamente costose (ammesso che si trovino). Inoltre credenze diffuse facilitano grossolani errori: basta usare mangimi ricchi di betacarotene e polli e uova avranno un aspetto estremamente ruspante, di un bel “giallo contadino”! Premesso che vale anche per l’allevamento quanto detto nel paragrafo industriale-artigianato, la vera cartina di tornasole è il gusto:
7) un prodotto di allevamento biologico deve essere organoletticamente superiore.
Alimentazione biologica: il gusto
I fautori dell’alimentazione biologica sostengono che i cibi non biologici hanno poco sapore perché impoveriti e che si ricorre ad aggiunte (come lo zucchero, il sale o i grassi) per coprire questa povertà. In realtà, anche molti cibi biologici non sanno assolutamente di nulla (come ben sa chi ha provato particolari ristoranti “biologici”) e questo non è dovuto alla dipendenza dai cibi tradizionali di chi valuta, ma alla loro scarsa appetibilità (è difficile ritenere il tofu più appetibile di una mozzarella di bufala!). Tant’è che chi mangia biologico è abituato a sostituire le aggiunte: non più zucchero, ma olio d’oliva extravergine spremuto a freddo per dare un minimo di sapore alle verdure biologiche in pinzimonio. Psicologicamente il meccanismo è lo stesso. Un altro dato è che chi mangia biologico perché fermamente convinto della dannosità del cibo tradizionale spesso non ingrassa; ciò è dovuto alla scarsa appetibilità dei cibi che portano il fruitore a limitare le proprie assunzioni e a sentirsi sazio. La confusione è poi aumentata dal fatto che se si entra in molti negozi biologici troviamo molti prodotti a base di carboidrati decisamente appetibili, ma molto poco in linea con l’indicazione di evitare di lavorare i cibi per renderli più “buoni”. A questo punto esiste solo una regola dettata dal buon senso:
8) mangiare deve rimanere comunque un piacere, evitiamo i cibi biologici che non sanno di nulla o sono addirittura sgradevoli!
IL COMMENTO
Alimentazione biologica: un altro grande abbaglio?
Uno studio di Altroconsumo di qualche tempo fa ha sollevato molte polemiche. Ecco che cosa è stato rilevato.
- Yogurt: non sempre quello bio contiene meno additivi di quello convenzionale.
- Biscotti: nei prodotti biologici sono stati trovati ingredienti di scarsa qualità, come l’olio di palma, e la presenza di farina ricostituita (farina raffinata con l’aggiunta di cruschello) al posto di quella integrale.
- Fette biscottate: in entrambi i prodotti sono stati trovati grassi di scarsa qualità.
- Cereali: i bio contengono più micotossine (tossine prodotte da muffe) rispetto ai cereali convenzionali.
- Confettura: le differenze sono minime, ma la bio contiene più frutta e meno zuccheri.
- Latte: è risultato privo di residui di tossine (possono passare al latte tramite i mangimi contaminati) sia nei prodotti bio sia in quelli convenzionali.
Che la miglior qualità del biologico possa essere un bluff destinato a incrementare il giro di affari del settore dell’alimentazione biologica si può subito comprendere anche dalla legge che consente che un prodotto sia definito biologico anche considerando solo il 95% degli ingredienti. Ovvio che il restante 5% (che è tantissimo) possa contenere schifezze di ogni tipo (per esempio grassi vegetali idrogenati e non solo nel caso di prodotti lavorati, come quelli da forno). Ma c’è di più.
Per alcuni prodotti è ammessa la coltivazione in serra, ben poco naturale.
In un regolamento comunitario si precisa che i prodotti chimici possono essere utilizzati quando sono essenziali per la lotta contro una particolare malattia o contro organismi nocivi per i quali non sono disponibili alternative … Omissis… Non è vero che gli alimenti non vengono mai raccolti acerbi: alcuni frutti …
Omissis… possono essere raccolti acerbi e fatti maturare artificialmente in magazzino, dove vengono conservati prima a basse temperature e poi vengono trattati con il gas etilene, proprio come viene fatto con gli stessi frutti coltivati convenzionalmente. Il gas etilene è usato … Omissis… per accelerare il processo di maturazione e conferire il caratteristico colore di giusta maturazione.
Non è vero che i prodotti sono più controllati: la legge prevede che …Omissis… l’organismo di controllo deve effettuare almeno una volta all’anno un controllo fisico completo dell’unità di produzione. Il fatto è che tante colture hanno un ciclo di produzione molto breve, al di sotto dell’anno, e quindi la stragrande maggioranza dei prodotti rischia di rimanere esclusa da ogni controllo. …Omissis…
Non è vero che il biologico abbia migliore qualità nutrizionale, le differenze sono minime. Finora nessuno studio scientifico è stato in grado di dimostrare questa presunta superiorità. …Omissis… Da considerare anche uno studio condotto dall’Inran. Per tre anni sono stati tenuti sotto controllo frutta e frumento, sia bio che convenzionali su campi sperimentali vicini. è emerso che nelle pere bio c’erano meno fibre e meno antiossidanti (sostanze antinvecchiamento), ma più vitamina C e più zuccheri rispetto a quelle tradizionali; nelle pesche bio c’erano più antiossidanti e più calcio e ferro rispetto a quelle convenzionali; nelle susine bio gli antiosssidanti si equivalevano, ma erano presenti più fosforo, potassio e zinco; nel frumento bio, infine, è stato registrato un minor contenuto di proteine, un aspetto non marginale visto che sono proprio le proteine a determinare una buona panificazione e a rendere migliore l’impasto.
Non è vero che il bio comporti un consumo inferiore di acqua ed energia. In base a uno studio del ministero dell’Ambiente britannico, per i pomodori bio si consuma fino a 9 volte più energia, per ottenere il latte bio ne serve l’80% in più (con un’emissione di anidride carbonica superiore al 20%) e per i polli bio si ha una spesa energetica superiore del 25%.
Non è vero che la sicurezza sia assoluta. Come in ogni cosa, ci sono i pro e i contro e ogni santificazione o demonizzazione non è scientifica. Per esempio, un caso classico è quello di cereali come il mais che, se non vengono trattati con pesticidi specifici, possono poi sviluppare muffe molto pericolose che producono aflatossine, cioè sostanze altamente cancerogene. In conclusione, dunque, non si può sempre avere la certezza che l’alimentazione biologica e il bio in generale equivalgano a “sicuro”.